La giornata contro la violenza sulle donne

Istituita dall’Organizzazione delle Nazioni Unite “solo” nel 1999, il 25 novembre rappresenta una pietra miliare per i progressi dell’Umanità. La giornata contro la violenza sulle donne, che sembra una cosa scontata, ha visto la realizzazione alla fine del secondo millennio. Del resto anche il voto alle donne è una conquista del secolo scorso, in molti paesi le donne ancor oggi non possono ricoprire posti di responsabilità, sono sotto la tutela del genitore (maschio) o del marito (se e quando si sposano), non possono guidare, e in Occidente (che teoricamente dovrebbe essere più “progressista”) stentano a farsi strada in politica (alcune uniscono la spregiudicatezza maschile alle spiccate “doti” femminili per arrivare al seggio e garantirselo per il futuro) o negli ambienti di lavoro, dove devono dimostrare di valere più dei colleghi uomini, spesso sono pagate meno a parità di incarico e a costo di rinunce “mutilanti” come quella di non poter mettere al mondo figli a meno di non perdere il lavoro! Lo ha sottolineato anche papa Francesco recentemente. La rinuncia, va da sé, comporta scelte che paghiamo tutti dal punto di vista demografico. Mentre la perdita del lavoro ricaccia la lavoratrice donna nell’alveo familiare frustrando quel sogno emancipatore che corona spesso studi lunghi e faticosi e impoverisce comunque la società privandola del punto di vista femminile.

Sono rare le società che garantiscono una libertà di costume alle donne e sono prevalenti quelle che privilegiano l’uomo (si pensi alla poligamia declinata sempre al maschile in quei paesi che ancora la praticano). E che dire di quella piaga chiamata “mutilazioni genitali femminili” che recentemente il governo nigeriano ha (finalmente) vietato e che affondava le proprie origini in infondati motivi religiosi, in realtà sovrapposti ad antiche usanze animiste che servivano alla sottomissione e al controllo della donna nelle tribù africane. A casa nostra il vecchio “delitto d’onore” (veniva definito proprio così!) ha ceduto il passo al neologismo giornalistico “femminicidio” (rifiutato pure dal controllo ortografico!). Anche oggi purtroppo la giornata contro la violenza sulle donne è stata funestata dall’ennesimo assassinio di una donna da parte del marito. Poi c’è la violenza terroristica e della guerra, che colpisce tutti indistintamente ma che ha sempre un occhio di riguardo (che fortuna!) per le donne, i vecchi e i bambini, tutte categorie “a rischio”. Cosa ci lascia questa importante giornata? Sicuramente molte manifestazioni culturali e artistiche delle quali diamo conto anche in www.LaTestata.info ma all’effimero di un giorno dobbiamo far seguire l’educazione, la cultura, le pari opportunità, il voto di genere, la parità dei diritti che duri tutti i giorni e per sempre. Dobbiamo marcare le conquiste dell’Umanità (chiamarle occidentali sarebbe fuorviante in un periodo come quello delicato che stiamo vivendo) e partire dai più giovani: ai miei tempi non esistevano le classi miste ma oggi nessun ragazzino delle elementari pensa che la sua compagnetta di scuola abbia meno diritti di lui.

E dobbiamo fare in modo che tutti abbiano un lavoro, perché il lavoro nobilita l’uomo (e la donna). Un lavoro onesto e dignitoso, perché quello degli spacciatori e delle prostitute non lo metto in conto… Sarebbe come dire che il lavoro precario e a tempo determinato equivale a quello a tempo indeterminato o come se la produzione di “gratta e vinci” e “slot machine” fosse paragonabile alla costruzione di case a risparmio energetico!

Chiudo con due piccoli aneddoti. Nel 1987 a Canterbury, molto prima che si parlasse di “quote rosa”, Monica Frassoni (donna e politica che stimo parecchio) introdusse la preferenza femminile per l’elezione dei membri del Federal Commetee della JEF (Gioventù Federalista Europea), la cosa fece storcere il naso ai maschietti ma si fece e fu l’unico modo per garantire una presenza al femminile immediata in quell’organo politico. Molto dopo venne il coportavoce di genere nel partito dei Verdi. Solo di recente si è introdotta a fatica la preferenza di genere!

Altra esperienza, che raccontai anche a Silvia Costa (altra donna in politica che stimo tanto), risale al 1991 quando mi trovai a spiegare a bambini di quinta elementare i meccanismi base della politica per l’elezione del capoclasse. Chiesi chi volesse candidarsi e alzò la mano metà classe. Chiesi di esporre il programma e i candidati si ridussero a cinque (e tra questi, una bambina). La piccola si presentò dicendo che secondo lei anche una ragazzina (e non sempre un maschietto) poteva fare la capoclasse. Raccolse il 75% di consensi pari all’intero voto femminile e alla metà di quello maschile. Quel giorno ho sperimentato che le cose possono cambiare.

 

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2015-11-26

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