LA DERIVA DELL’AUTONOMIA DIFFERENZIATA

Il titolo del libro curato da Salvatore Cherchi e Gian Giacomo Ortu presentato alla Fondazione di Sardegna.

Meno di cento pagine, a soli dieci euro, “La deriva dell’autonomia differenziata. E la Sardegna?” è il titolo del libro curato da Salvatore Cherchi e Gian Giacomo Ortu. Il primo è ingegnere minerario già parlamentare e sindaco di Carbonia, delegato nazionale ANCI per la finanza locale. Il secondo è uno storico specialista in storia delle istituzioni economiche e politiche dell’Europa moderna, professore ordinario di Storia Moderna.

I contributi raccolti dai curatori, oltre ai propri, sono di Benedetto Barranu (già consigliere e assessore regionale), Caterina Cocco (componente della segreteria regionale della CGIL), Gianmario Demuro (professore ordinario di Diritto Costituzionale, già assessore regionale), Giorgio Macciotta (già parlamentare e sottosegretario al Tesoro del primo governo Prodi e nel primo e secondo governo D’Alema, è stato anche componente del CNEL), Carla Medau (già sindaco di Pula), Roberto Murgia (avvocato specializzato in Diritto Amministrativo).

Intervenendo nel 1947 alla Costituente nel dibattito sull’ordinamento regionale della Repubblica, Emilio Lussu ne illustrava la ragione fondamentale: soltanto la loro articolazione territoriale avrebbe consentito l’esercizio democratico dei poteri dello Stato e insieme la coesione civile del Paese. Le autonomie regionali erano, insomma, l’architrave della costruzione di una Repubblica democratica e inclusiva. La successiva riforma del Titolo V, approvata nel 2001, mirava a una svolta in senso federale dell’ordinamento autonomistico, ma restava largamente sulla carta per le molteplici, e mai dichiarate, resistenze politiche.

Il Disegno di legge Calderoli sulle Autonomie differenziate, approvato di recente dal Governo, nonché dar corpo alla riforma del 2001, mostra la chiara intenzione di introdurre fattori di conflitto e di lacerazione nel sistema delle autonomie. Ed è anche chiaro che ove questo disegno di legge, di ispirazione leghista, completasse il suo iter legislativo, si compirebbe la triste parabola dell’autonomia regionale, concepita per potenziare l’unità politica e civile del Paese e utilizzata ora dal Governo di centro-destra come una mazza per abbattere questa medesima unità. Il Governo regionale sardo ha espresso parere favorevole sul disegno di legge Calderoli: una decisione incomprensibile, stante che la Sardegna è tra le Regioni che da tale legge riceverebbe il danno maggiore.

Il dibattito, organizzato dalla Fondazione Enrico Berlinguer e dall’Associazione Festival letterario Emilio Lussu, che si è svolto il 1° giugno nella sala conferenze della Fondazione di Sardegna è stato coordinato da Claudia Secci, docente dell’Università di Cagliari e componente del Comitato scientifico della Fondazione Berlinguer. Introdotto da Stefano Aru, docente dell’Università di Cagliari. Interventi di Francesca Ghirra, deputata, Jacopo Fiori, segretario territoriale del PD, Laura Caddeo e Valter Piscedda, consiglieri regionali. Tra gli altri interventi anche quello della ex rettrice Maria Del Zompo.

Ad emergere è stato il malinteso senso di autonomia che può avere risultati negativi su formazione, scuola, sanità. L’autonomia dovrebbe essere uno strumento per potenziare l’unità dello Stato e non per distruggerlo. I riferimenti agli articoli costituzionali 119, 116, 5 e 53 sono stati più volte richiamati dagli intervenuti. Interessante anche la suddivisione tra materie LEP e non LEP (Livelli Essenziali delle Prestazioni). Oltre al disastro che può intervenire nelle materie concorrenti come i trasporti. La preoccupazione è il sentimento che pervade la maggior parte degli intervenuti. Pesanti le accuse a un governo Meloni di destra-destra incapace di mantenere le promesse elettorali, che si professa governo politico con maggioranza parlamentare enorme che usa solo per ratificare decreti legge, esautorando di fatto il Parlamento dal ruolo legislativo a colpi di voti di fiducia. Un governo che imbavaglia la Corte dei Conti sui fondi PNRR che non voleva, che non sa come spendere, che è incapace di spendere, che smantella il welfare a iniziare dal reddito di cittadinanza aumentando i poveri, che precarizza i lavoratori impedendo la nascita di nuove famiglie. Un governo che invece di concentrarsi sull’ottimale spendita dei fondi PNRR, gigioneggia su riforme costituzionali tanto inutili quanto dannose come se il rapporto tra eletti ed elettori (ormai sotto la soglia del 50% si rafforzasse con presidenzialismo o premierato invece di eliminare le soglie di sbarramento e virare sul proporzionale puro per recuperare quel 50% di non più votanti in quanto sfiduciati dagli attuali volti politici. Sotto accusa le sparate leghiste di differenziare i livelli salariali in base alla latitudine per ripararsi dal costo della vita, che se fosse vero, dovrebbero essere a favore della Sardegna che ha costi energetici superiori nonostante sia autosufficiente nella produzione. O in materia di trasporti, basti pensare che i tifosi del Parma non sono venuti al seguito della squadra per il costo del biglietto aereo. Peccato che mentre i tifosi italiani se ne accorgano una volta all’anno, i sardi siano quotidianamente chiamati ad accorgersi di essere prigionieri di un’Isola o perché mancano i trasporti o perché questi hanno costi insopportabili. “Una battaglia per la vita” l’ha definita Gustavo Zagrebelsky quella contro l’autonomia differenziata. Ampio il dibattito sulla dispersione scolastica al Sud rispetto al Nord in quanto le scuole sono prive di mense, tempo pieno, trasporti per studenti e il numero di ore è minore e meno efficiente e sulla sanità pubblica che versa in condizioni disperate al Sud per i continui tagli.

Il PNRR doveva essere impiegato principalmente al Sud, per favorire le assunzioni di giovani e donne. Invece il governo Meloni si appresta a sperperare o restituire fondi o usarli solo per sicurezza e munizioni. La Meloni appare più preoccupata a stare in sella elargendo favori ai leghisti e alleati vari che a favorire reali politiche di sviluppo. Le elezioni europee sono ancora lontane ma non sembra che gli italiani siano disposti a fare sacrifici fino ad allora e men che meno dopo.

Autore

2023-06-03

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *