Nel frattempo nel Paese è dilagata la protesta

I diritti alle donne

Il caso di Amal e le lotte a favore delle donne

Amal (il cui vero nome è Maryam Alsyed Tiyrab) è una giovane donna sudanese di appena 20 anni che, lo scorso 26 giugno, è stata condannata alla lapidazione per adulterio (si tratta del primo caso dopo 10 anni. L’ultimo è stato registrato nel 2013).

L’accusa è arrivata poco dopo la separazione dal marito e immediatamente la Corte Suprema ha espresso il terribile verdetto.

Il processo a cui la giovane è stata sottoposta si è, però, rivelato una farsa. Secondo quanto riportato dall’African Center for Justice and Peace Studies, infatti, la Corte si sarebbe avvalsa di testimonianze ottenute illegalmente e, inoltre, sarebbe stata negata ad Amal la possibilità di avere un avvocato difensore.

Date queste rivelazioni per Amal ci sarebbe ancora speranza: il verdetto potrebbe essere ribaltato dal tribunale e Amal potrebbe essere salvata.

Attualmente, però, lei si trova ancora in carcere in attesa di conoscere il suo destino.

Nel frattempo in Sudan è dilagata la protesta. Migliaia di persone si sono riunite per le strade e nelle piazze e stanno chiedendo a gran voce la sua liberazione.

A sostegno del suo caso è intervenuto anche l’Avaaz (movimento che, dal 2007 promuove campagne su questioni di carattere globale o nazionale per far sentire le voci dei cittadini), il quale ha aperto una raccolta firme (consultabile sul sito) per far si che Amal venga scarcerata.

Il caso di Amal, però, non è l’unico caso che ha destato proteste contro la lapidazione.

Nel 2006 in Turchia le donne si erano unite in una campagna internazionale a favore di Melek Ghorbany, condannata alla lapidazione in Iran. La mobilitazione, allora, aveva chiesto la liberazione di tutte le donne condannate alla lapidazione nella Repubblica Islamica, sostenendo che “la lapidazione è un crimine contro l’umanità”, e l’avvocato Lily Mazahery aveva raccolto oltre 20 000 firme a sostegno della campagna.

Nel 2010, invece, un’altra protesta era esplosa in Iran per la morte di Sakineh Mohammadi Ashtiani. La donna, dopo una confessione ottenuta infligendole 99 frustate, era stata accusata di aver avuto rapporti con due uomini fuori dal matrimonio. La sua posizione, però, non fu mai totalmente chiarita dato che il marito era morto e non si conoscevano nemmeno i reali rapporti con gli altri due uomini.

In Sudan, la storia della ventenne sudanese è solo una parte dell’attacco ai diritti delle donne e, probabilmente, è stata anche “la goccia che ha fatto traboccare il vaso”. Qui le donne, da almeno tre anni, si espongono in prima linea per rivendicare i loro diritti, che ancora oggi (dopo il colpo di stato militare che ha bloccato la svolta democratica del Paese) vengono loro negati.

Ma, purtroppo, il Sudan non è solo un caso isolato a proposito della negazione dei loro diritti fondamentali.

Basti pensare alle numerose proteste che stanno avvenendo in Iran a seguito dell’uccisione di Masha Amini, uccisa dalla polizia iraniana perché non indossava correttamente il velo. Anche in questo caso la protesta si è estesa alla lotta contro le discriminazioni nei confronti della donna, venendo poi  “accolta” da diversi Paesi in tutto il mondo.

O ancora, pensiamo alle numerose manifestazioni per la lotta al diritto allo studio in Afghanistan.

Tutto ciò, però, non avviene solo nei Paesi più “poveri”, ma si sta progressivamente estendendo anche nei Paesi sviluppati.

È ed per questo che negli ultimi anni movimenti come Avvaz hanno incrementato il loro  sostegno, su scala mondiale, a lotte contro le molestie sul posto di lavoro o a favore del diritto all’aborto (e non solo), tramite petizioni, finanziando campagne sul campo, inviando e-mail, organizzando proteste off-line e facendo pressione sui governi.

Perché tutti possiamo far sentire la nostra Voce e far in modo che influisca sulle decisioni che ci riguardano. Perché insieme possiamo ottenere un mondo “migliore”, quello che la maggior parte delle persone desidera!

Autore

2022-10-31

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