Ordine dei giornalisti Cagliari 1

GIORNALISTA E’ CHI GIORNALISTA FA

A Cagliari Carlo Bartoli, presidente nazionale dell’Ordine dei Giornalisti parafrasa Forrest Gump per parlare del presente e del futuro della professione giornalistica.

La Sala Villanova dell’Hotel Regina Margherita a Cagliari è piena di giornalisti e qualche politico per l’atteso arrivo del presidente dell’Ordine dei Giornalisti, Carlo Bartoli, che mesi fa bruciò all’ultimo minuto per un personale tributo al covid.

Tema dell’incontro di venerdì 2 dicembre è l’evento formativo “Giornalismo: professione e deontologia nella società che cambia”. La folta presenza non è certo per i crediti che i giornalisti devono mettere insieme per la formazione continua e l’aggiornamento che l’Ordine persegue da anni ma per la curiosità di sentire il presidente nazionale.

Francesco Birocchi fa gli onori di casa come presidente regionale dell’Ordine, con lui Celestino Tabasso e Simonetta Selloni, vecchio e nuovo presidente dell’Associazione della Stampa della Sardegna, il sindacato dei giornalisti che, a livello locale si trova in sintonia con l’Ordine ma che a livello nazionale, in passato, non è sempre successo.

“Vi prometto che le riunioni con la politica non andranno deserte come è successo prima di me” dice Carlo Bartoli. Ma andiamo con ordine.

A quasi sessant’anni dall’istituzione dell’Ordine dei Giornalisti ci si interroga sul ruolo e sullo stato della professione giornalistica nel nostro Paese, in una società dell’informazione in continua evoluzione.

L’Ordine stesso, nelle sue articolazioni, si domanda da tempo in che modo aggiornare la propria presenza nell’inarrestabile sviluppo tecnologico dei mezzi di informazione, nell’evoluzione delle diete mediatiche degli utenti e nelle mutate condizioni di lavoro dei giornalisti.

La grande platea che quotidianamente si rivolge ai vari mezzi per ottenere informazioni complete e attendibili ha diritto di poter contare su notizie verificate, rispettose della verità sostanziale dei fatti e della personalità altrui.

In una situazione che si presenterà in futuro ancora più complessa se è vero che la Commissione Europea, su pressione delle lobbies di agricoltori e gruppi organizzati che vogliono più soldi, ha deciso di ridurre i fondi per la difesa dalle fakenews. Questo vorrà dire che nel 2023 russi, cinesi e chi in fakenews investe si faranno quattro risate e gli europei subiranno la disinformazione che abbiamo già visto applicata ad esempio a covid e guerra russa in Ucraina.

Celestino Tabasso non le manda a dire. Punta il dito sul precariato che affligge la categoria, sulla politica colpevole di non tutelare i giornalisti “minacciati” da querele temerarie e gli editori che sono pronti a scaricarli. Si potrebbe dire che in altri paesi non va meglio, certo, ma non facciamo una gran bella figura nella classifica della libertà di stampa e la situazione va peggiorando.

Celestino Tabasso teme che la professione giornalistica possa diventare elitaria se si limiterà a chi possa frequentare costosissimi master o sempre più controllata da politica ed editoria.

Prende la parola anche Francesca Arcadu (vicepresidente Uildm Sassari), nella Giornata della disabilità, che presto diventerà pubblicista e sta lavorando alla “Carta deontologica” sulla rappresentazione giornalistica delle persone con disabilità, elaborata nel corso di due convegni organizzati a Olbia (ecco perché viene definita “Carta di Olbia”) e Cagliari dall’Odg della Sardegna e l’associazione “Giulia”. Si chiede che i giornalisti mettano al centro la persona e non la disabilità. Si tratta di capovolgere la prospettiva con la quale si scrive la notizia. “Una persona non è costretta sulla sedia a rotelle ma si muove grazie ad essa” afferma Francesca Arcadu “e un disabile ucciso dal padre ‘per amore’ è un modo sconveniente di dare una notizia di un reato!”

Per Carlo Bartoli “non siamo sull’orlo di un baratro ma ci siamo caduti dentro e possiamo solo decidere di usare un kit per costruirci un paracadute o continuare a precipitare”. Il ruolo del giornalista è quello di essere coscienza critica della società e non può essere sufficiente limitarsi al rispetto della deontologia professionale. “Vogliamo difendere una categoria o la professione?” chiede ai presenti “il rischio è che la professione giornalistica muoia proprio nel periodo storico in cui il consumo di informazione è così elevato nel mondo” ma chi produce notizie non guadagna e in Italia il 75% della pubblicità online e appannaggio delle grandi piattaforme, il resto di qualche grande editore e le briciole ai più.

Carlo Bartoli chiede l’aiuto delle istituzioni “dobbiamo pretendere che il Parlamento legiferi in materia e faccia passi concreti in questa direzione grazie al quadro giuridico dell’Unione Europea (e meno male che esiste altrimenti la situazione sarebbe pure peggiore)”, e continua “riportare la libertà di informazione nei comuni, nelle regioni, imprimere una svolta: eliminare il carcere per diffamazione, eliminare le querele bavaglio, il turismo giudiziario per evitare che se uno venga querelato in Ungheria debba essere processato lì”.

“Oggi lo stato dell’Informazione in Italia è disastroso. Esistono i social, la rete e qualcuno pensa che basti impedire ai magistrati di parlare” prosegue il presidente nazionale dell’Ordine “ma è meglio che sia un procuratore a dire che ci sono stati 20 feriti o 50 morti o il primo che passa per strada e posta su un social dati a casaccio?”

Un altro punto fermo è quello della tutela delle fonti giornalistiche. La preoccupazione di Carlo Bartoli è quella che la stampa italiana sia relegata ai margini dei paesi evoluti. Se ne esce dando contenuti di valore, grazie allo studio, alla formazione continua, all’aggiornamento. Non è una questione di status giuridico. Ecco che quindi propone che i praticanti possano accedere alla professione giornalistica anche senza avere una testata alle spalle. “Quello che importa è attrarre all’Ordine tutti quelli che scrivono e che lo facciano nel rispetto della deontologia, con disciplina, etica, senso di comunità e formazione. Dobbiamo essere inclusivi. I social media manager sono giornalisti come lo sono i cineoperatori, fotografi, archivisti dei giornali che una volta non erano considerati tali. Un domani forse arriveremo a escludere chi fa pubblicità, marketing, propaganda”. La sala applaude.

“L’Ordine dei Giornalisti deve fare una cernita qualitativa, oggi invece rischia di diventare giornalista anche chi non sa scrivere ma ha presentato un numero di articoli perché ci si limita a registrare senza entrare nel merito” da qui l’esigenza di far entrare chi scrive, retribuito, affiancarlo per 18 mesi e inserirlo in un percorso formativo e deontologico. “Dobbiamo essere rigidi nell’applicazione dei principi ma flessibili nel prevedere e anticipare il nuovo. Insomma per dirla alla Forrest Gump: ‘giornalista è chi giornalista fa’”.

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2022-12-04

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