Julian Assange: Gli aspetti salienti del suo caso e l’impatto sulla libertà dei media

Julian Assange è un attivista, giornalista e cofondatore di Wikileaks, piattaforma giornalistica creata nel 2006. Da allora, Assange, in collaborazione con numerosi giornalisti e testate di fama mondiale, ha pubblicato documenti segreti di Stato allo scopo di informare la società civile delle irregolarità e dei crimini commessi dai governi. Ciò gli è valso numerosi riconoscimenti, tra cui la candidatura al Premio Nobel per la Pace per la sua attività in favore della trasparenza e dell’informazione, ma lo ha anche reso bersaglio degli Stati Uniti, che fin dal 2010 hanno tentato di incriminarlo e controllarne gli spostamenti, suggerendo anche ai loro alleati di verificare se le azioni di WikiLeaks costituissero reati ai sensi delle loro leggi sulla sicurezza nazionale. Questa attenzione degli Stati Uniti verso Assange è culminata nel 2019 con una richiesta di estradizione a cui è seguito il suo arresto. Rinchiuso nel carcere di Belmarsh dall’aprile 2019, Assange attende la fine di quello che è probabilmente uno dei processi più controversi nel mondo del giornalismo.

In una breve, ma alquanto esaustiva, intervista con Sara Chessa (giornalista e attivista che segue il caso dal 2019) abbiamo cercato di chiarire alcuni punti fondamentali di questa intricata vicenda.

Crittografia e Wikileaks.

Sin da giovane Julian Assange si è sempre interessato alla privacy, alla protezione dell’identità delle fonti e alla trasparenza, tanto da far parte del movimento dei Cypherpunk, che si proponeva di utilizzare la crittografia per tutelare la privacy dei cittadini e, allo stesso tempo, di ottenere trasparenza dai governi e dai potenti. Questi ideali furono fondamentali per la costruzione di Wikileaks, la quale utilizzava la tecnologia in un modo tale da permettere alle fonti di inviare o rivelare materiali di interesse pubblico in anonimato. Questa tecnologia è stata ed è al servizio del diritto alla conoscenza, in quanto informa i cittadini di reati o azioni non allineate con l’interesse pubblico.

Wikileaks, facendo uso della crittografia, riuscì a pubblicare numerosissimi materiali e documenti segreti di interesse pubblico proteggendo al tempo stesso le fonti. La diffusione di tali informazioni avvenne anche grazie alla collaborazione di grandi testate internazionali (New York Times, The Guardian, Der Spiegel, solo per citarne alcune). Molte di queste informazioni misero in “imbarazzo” il governo statunitense, tanto da portarlo a perseguitare Assange sia come giornalista che come essere umano.

La sua attività rientrava nell’ambito giornalistico, si limitava a informare i cittadini. Divulgava, per esempio, notizie relative, tra le altre, alla guerra in Afghanistan e Iraq, e pubblicava materiali come Collateral Murder (il video in cui un gruppo di militari statunitensi, nel 2007, spara su civili iracheni come se fossero bersagli in un videogioco). Tuttavia, a seguito di accuse di stupro ricevute in Svezia e definite anni dopo dal relatore Onu sulla Tortura Nils Melzer come “costruite”, Assange si trovò destinatario di una richiesta di estradizione in Svezia. L’editore di WikiLeaks aveva interesse a chiarire la propria posizione e si presentò presso una stazione di polizia londinese, in cui venne trattenuto in custodia cautelare e, dopo poco tempo, posto in libertà vigilata in attesa che le indagini andassero avanti. Le accuse rimasero sempre a livello di indagini preliminari e non diventarono mai capi di imputazione. Tuttavia, dal momento che la Svezia si rifiutava di assicurare che non avrebbe a sua volta ceduto Assange agli Stati Uniti dopo averlo estradato, Assange fu costretto a rifugiarsi nel 2012 presso l’ambasciata ecuadoriana a Londra, dove rimase per sette anni in una condizione che un gruppo di lavoro Onu ha definito nel 2015 “detenzione arbitraria”. Le accuse svedesi vennero poi definitivamente archiviate nel 2019, quando Assange fu arrestato in conseguenza della richiesta di estradizione statunitense, legata ad accuse di spionaggio e intrusione informatica e, pertanto, del tutto separate rispetto all’inchiesta svedese partita nel 2010. Il primo processo subìto, prima ancora di quello legato all’estradizione negli Stati Uniti, fu quello relativo all’evasione dagli arresti domiciliari, nonostante il mandato di arresto legato alle accuse per cui si trovava in libertà vigilata fosse stato nel frattempo cancellato e nonostante fosse noto che aveva cercato rifugio presso l’ambasciata ecuadoriana al fine di proteggere i suoi diritti umani.

Il processo

Attualmente nel Regno Unito si è arrivati all’ultimo stadio del processo. La Corte Suprema ha decretato che le rassicurazioni diplomatiche da parte degli Usa sono valide, anche se così non è secondo molti esperti nel campo dei diritti umani. Gli Usa, infatti, hanno sì dichiarato che in caso di estradizione non verrà recluso nel carcere di ADX Florence (la prigione più estrema degli Usa in cui è rinchiuso, tra gli altri, il narcotrafficante El Chapo) e non verrà sottoposto al severo regime di isolamento SAMs, ma si sono riservati di farlo nel caso in cui dovessero valutare che i comportamenti di Assange lo richiedono. Per Amnesty International e altre realtà nell’ambito dei diritti fondamentali, questo non assicura che non sarà sottoposto a torture o trattamenti inumani.

La Corte rimane ferma sulla decisione di confermare l’estradizione. La “palla” è dunque passata di nuovo nelle mani del giudice di primo grado e la ministra Priti Patel ha confermato la decisione dell’Alta Corte. Gli avvocati di Assange hanno però presentato alcuni punti contro tale pronunciamento, richiamando la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, e hanno anche presentato ricorso contro sentenza di primo grado. Tale sentenza, infatti, negò l’estradizione solo sulla base delle sue precarie condizioni di salute fisiche e psicologiche, per cui risultava pericoloso trasferirlo in un carcere americano con condizioni di detenzione disastrose. Per gli avvocati queste ragioni non sarebbero le uniche valide. Non tengono infatti conto della libertà di conoscenza, di pensiero, di stampa e del dovere dei mezzi di informazione a mettere a disposizione dei cittadini notizie che permettano loro di valutare l’operato dei governi e pronunciarsi andando oltre la “facciata” che ci viene mostrata, tutte motivazioni più che valide in quanto rappresentano le fondamenta di qualsiasi sistema democratico.

Intanto, mentre il processo va avanti, Assange è ancora rinchiuso nel carcere di Belmarsh (anche conosciuto come la Guantánamo britannica) da oltre 4 anni nonostante la pena che avrebbe dovuto scontare per aver evaso gli arresti domiciliari nel 2012 fosse di sole 50 settimane.

Organizzazioni e manifestazioni

Nel corso di questi 4 anni numerose sono state le organizzazioni che si sono venute a creare a favore della liberazione di Assange.

Ognuna di esse gioca un ruolo cruciale nella conclusione della persecuzione di Assange, perché è molto probabile che alla sua scarcerazione si arrivi grazie a una spinta forte da parte della società civile globale affinché i governi si rivolgano agli Stati Uniti “non come servi ma come alleati”. E un alleato, così come un amico, dovrebbe far riflettere gli Usa sui loro errori e soprattutto sul fatto che, con le loro decisioni, stiano andando contro la loro stessa Costituzione, aggrappandosi ad una legge sullo spionaggio del 1917 che si rivolgeva a coloro che vendevano informazioni e non a chi, come Assange, le mette a disposizione dei cittadini.

Tutto ciò che la società civile fa è, dunque, cruciale perché come disse, nel corso di un incontro con la giornalista Sara Chessa, l’ex ministro degli Interni islandese Ögmundur Jónasson (ricordato per aver cacciato l’FBI, quando questa si era introdotta a sua insaputa nel Paese per incastrare Assange), “possiamo avere anche le costituzioni più belle e le leggi più belle al mondo, che celebrino la libertà di espressione, la libertà dei media, ma se nessuno fa niente perché siano attuate o per impedire a certi ostacoli che quelle leggi si traducano nel concreto, quelle leggi non servono a niente”.

Le manifestazioni che queste organizzazioni promuovono devono continuare e la società civile deve mostrare la propria sensibilità e dimostrare di aver capito quanto l’estradizione di Assange metta a rischio il giornalismo mondiale, perché da qual momento ogni giornalista avrebbe timore di essere perseguito ed estradato per la pubblicazione di materiali che potrebbero imbarazzare gli Usa o altre grandi potenze.

Dal 2019 ad oggi la situazione è cambiata moltissimo, anche grazie a figure politiche e personaggi pubblici che hanno iniziato a fare qualcosa di concreto per Assange, e segmenti sempre più ampi della società civile stanno prendendo coscienza del legame che sussiste tra Assange e i nostri diritti.

Il ruolo dei giornali

La campagna diffamatoria ai danni di Assange aveva coinvolto inizialmente anche i media, che ad un certo punto iniziarono a credere che veramente egli “non fosse uno di loro”. Quando fu arrestato, nel 2019, nel Regno Unito c’era chi, come la National Union of Journalism, dichiarava che la persecuzione di Assange avrebbe avuto un impatto inimmaginabile su tutti i giornalisti e che in gioco ci fosse la libertà di tutti i media. Ma c’era anche chi, invece, concordava con la sua estradizione.

Con la crescente mobilitazione però le cose sono cambiate e la maggior parte dei media è ora a favore della sua liberazione.

In Italia, per esempio, Stefania Maurizi è stata una figura di spicco che si è scagliata fortemente contro chi si opponeva a rilasciare i documenti utili a comprendere il caso e le sue irregolarità. E, così come lei, altri se ne sono poi occupati.

Sicuramente, però, si può fare ancora tanto e andare più a fondo nelle pieghe di un processo così complesso. A partire dall’avvio del processo stesso, che non si è rivelato equo per Assange e che quindi non sarebbe nemmeno dovuto iniziare. Gli Usa, infatti, con la collaborazione dell’Ecuador, erano riusciti, tramite un’intensa attività di spionaggio all’interno dell’ambasciata ecuadoriana (dove, ricordiamo, Assange si era rifugiato nel 2012), ad entrare in possesso delle conversazioni private tra Assange e i suoi avvocati. E i giornalisti si sono presto resi conto di ciò, tanto che nel corso di un incontro al Geneva Press Club nel giugno 2022, numerosi sindacati dei giornalisti hanno chiesto a Biden di far cadere le accuse a carico di Assange e agli altri leader mondiali di intervenire e fare pressione sul presidente statunitense. 

I giornalisti sono diventati sempre più consapevoli di cosa accadrebbe, se Assange venisse estradato, alla libertà dei media, per garantire la quale è necessario proteggere sia i giornalisti, sia le loro fonti, i whistleblowers (dipendenti di organizzazioni private o pubbliche che denunciano attività illecite, fraudolente, illegali e immorali, interne all’organizzazione stessa) e anche i blog non giornalistici che fanno cronaca basata su fatti reali. Sempre più giornalisti si stanno, inoltre, attivando per tutelare queste libertà, che, va ricordato, sono alla base di tutte le democrazie.

Assange potrebbe ricevere la cittadinanza a Napoli

Il 28 aprile il vicesindaco di Napoli Laura Lieto ha dichiarato che Napoli potrebbe concedere la cittadinanza onoraria ad Assange. L’affermazione della vicesindaca è stata fatta nel corso della consegna del premio Pimentel Fonseca a Stella Morris, moglie di Julian Assange, per “Il suo coraggio nel difendere, attraverso il caso di Julian Assange, il diritto alla libertà di stampa di tutti i giornalisti del mondo, testimoniando che vive in Lei la stessa ispirazione di Eleonora Pimentel Fonseca”.

Durante la premiazione Vittorio Di Trapani, presidente Fnsi, ha inoltre annunciato che verrà assegnata ad Assange la tessera onoraria da parte dei sindacati dei giornalisti di ben 19 Paesi, dopo che nei mesi scorsi l’Ordine dei Giornalisti ne aveva approvato l’assegnazione per l’iscrizione all’albo.

Per dimostrare solidarietà ad Assange i presenti in sala hanno indossato una maschera con il volto del giornalista australiano e una delegazione di ospiti proveniente da Costa d’Avorio, Senegal, Gambia, Afghanistan, Sri Lanka, Bielorussia, Somalia, Nigeria, Sudafrica, Messico e Burkina Faso ha indossato i suoi abiti tradizionali in segno di pace.

Conclusione

In questo breve articolo si è cercato di mettere in evidenza una piccola parte degli aspetti di quanto sta succedendo ad Assange, un giornalista che ha cercato semplicemente di informare, come il suo lavoro prevede, i cittadini sulle ingiustizie che le grandi potenze avevano commesso e continuano a commettere.

Il suo caso, come già detto, è forse il più controverso nel mondo giornalistico, una storia senza precedenti che, se terminasse con la sua estradizione, potrebbe significare la fine della libertà di stampa, informazione, dei media e qualunque altra libertà sia per i giornalisti che per la società civile.

Vogliamo però essere fiduciosi nel fatto che le manifestazioni a favore di Assange e che il lavoro di centinaia di giornalisti e attivisti possa essere fondamentale per la sua liberazione, che non sarebbe altro che la liberazione di tutti noi.

Autore

2023-05-13

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