Colle di Sampeyre e Vallone d’Elva: due capolavori naturali del cuneese fra la terra e il cielo, ammirando il Monviso.
Come amatore, ho sempre visto la bicicletta da corsa non come un mezzo per gareggiare, ma principalmente come un portale per visitare il territorio “a misura d’uomo”: la bici fa passare attraverso numerosi luoghi in poco tempo, non c’è niente fra di noi e il mondo esterno, solo il vento che sbatte sulla pelle.
Torino, città in cui vivo, permette a un ciclista numerose opzioni: il canavese, la collina torinese, fino ad inoltrarsi all’astigiano, al roero o alla langa; oppure verso le montagne, fra le tante valli che si dipanano, talvolta, fino alla Francia.
Il treno è spesso una buona possibilità per avvicinarsi a nuovi luoghi, e d’estate lo uso per partire ai piedi delle alture, alla ricerca anche di un po’ di refrigerio. Il 4 giugno scorso feci la mia prima escursione in quota dell’anno, provando ad approcciare il selvaggio Colle di Sampeyre, passo che scoprii qualche tempo fa in rete.
La ferrovia che passa più vicino alla Val Varaita, all’interno della quale sale il colle, è la Torino-Fossano: decido di fermarmi a Savigliano, una stazione a circa 20 km dall’imbocco della valle. Ci arrivo alle 9:50 ma fa già piuttosto caldo e purtroppo sono sempre sotto il sole, in aperta campagna. Ma c’è un leggero vento favorevole che quasi sempre, fino al pomeriggio, risale le valli, un toccasana per noi ciclisti. Arrivo in meno di un’ora a Costigliole Saluzzo, porta delle Val Varaita, e vedo in lontananza una bici leggermente più lenta di me: dopo qualche tempo la raggiungo e inizio una conversazione con un simpatico signore sulla sessantina, del posto, che mi accompagnerà per buona parte del viaggio.
La dolce salita che porta fino a Sampeyre è ancora più semplice se si discorre; Franco (si chiama così) mi parla delle sue lunghi viaggi in bici in tutta europa, e io rimango piuttosto stupefatto. Dopo altri venti km siamo a Sampeyre, all’incirca a quota mille metri, ma la la vera salita inizia ora: da Sampeyre, ridente paesino, parte una strada abbastanza stretta, fra i boschi, che impiega ben 16 km all’8% di pendenza media per arrivare ai 2280 metri del colle. Lentamente cominciamo, e ognuno va al proprio ritmo: dopo pochi metri sono già davanti, da solo. Mi supera un altro ciclista e torno con i piedi per terra.
Dopo qualche kilometro il fitto bosco si apre di tanto in tanto, lasciando spazio a prati verdissimi, con vista sulla valle; il cielo è nuvoloso e a circa metà della salita scende una leggera pioggerella che rinfresca piacevolmente, e mette in pace con il paesaggio e la natura circostante. L’atmosfera diventa ancora più cupa quando entro nelle nuvole, in mezzo alla nebbia, sperando che la pioggia non aumenti di intensità. Si sale sempre di più e invece di aumentare la pioggia cessa; il sole esce improvvisamente e sono oltre il mare di nebbia, con gli alberi che ormai si diradano (nelle alpi sempre attorno ai duemila metri di quota). Inizio ad intravedere in lontananza la cima del colle, ma a destra mi si pone una visione spettacolare: Il Monviso, il gigante di pietra, che svetta impassibile in tutta la sua imponenza. Nonostante abbia tenuto un’andatura blanda, la fatica inizia a farsi sentire per l’aria rarefatta, ma so che manca poco e stringo i denti: arrivo al colle dopo un’ora e mezza da Sampeyre.
Decido di fermarmi per aspettare il mio nuovo compagno di “avventure”; vedo un piccolo monumento, qualche auto e altri ciclisti che si godono il paesaggio. Il cielo sopra di me alterna le nuvole al sole, e talvolta si alza il vento e scende un scroscio di acqua gelata. La vista sulla valle Macra, quella che percorreremo al ritorno, è anch’essa spettacolare e mi riserverà una sorpresa più in basso. Spunta Franco, foto di rito, mantellina, e giù per la discesa.
La discesa sembra ancora più panoramica della salita, la temperatura è piacevole; di un tratto, però, le nuvole diventano nere e per qualche minuto ci sono circa tredici gradi (il clima è davvero imprevedibile in queste zone). E poi la sorpresa: il Vallone di Elva, una gola profondissima che potrebbe ospitare un film fantasy alla “Signore degli Anelli”. Franco mi racconta che queste zone, nonostante siano paesaggisticamente incredibili, sono poco battute ed esenti dal turismo di massa: “Ci sono più tedeschi che italiani” dice. Dopo alcune storie su queste zone, proseguiamo per la discesa lasciandoci alle spalle alcune graziose frazioni. Arrivati alla base della valle le nostre strade si separano: io mi fermo all’Ape Maira, piccolo bar e ristorante, per rifocillarmi, e lui ritorna subito verso casa.
Dopo la pausa si sono fatte già le sedici e decido di tornare velocemente verso Savigliano: ancora cinquanta km, tutti in leggera discesa. Macra, Cartignano, Dronero e Busca sono alcuni dei comuni che attraverso, prima fra le montagne e poi fra le fattorie e i campi di grano. Raggiungo Savigliano intorno alle diciotto, esausto ma felice, con la consapevolezza di avere scoperto delle zone magnifiche e ancora inesplorate. Nel treno di ritorno parlo con una ragazza del conservatorio di Torino – mi sono incuriosito dopo aver visto una custodia di un violoncello, tutta di colore giallo – : e condivido l’esperienza con lei. E’ importante per me fare conoscere le potenzialità nascoste del nostro territorio. Le opportunità di turismo in Piemonte e in tutta Italia sono infinite, molte ancora da scoprire.