C’è ARTE e arte: il mistero del “questo lo so fare anch’io”

In fin dei conti, l’unica verità è che si fa tanta, tanta confusione quando si parla d’arte; se a questo si aggiunge che non è certamente uno degli argomenti più di grido della nostra società e che l’ignoranza in tale campo è davvero altissima, è facilmente comprensibile come certe discussioni finiscano per cadere velocemente in un susseguirsi di stereotipi, frasi fatte, pensieri comuni, facili categorizzazioni, eccetera…

Il motto più classico è “questo lo so fare anche io”, riferito solitamente al “mito” della “tela bianca”, come se tutta l’arte contemporanea fosse un susseguirsi di tele bianche o di strani schizzi buttati li senza una ragione che vengono venduti a milioni di dollari per chissà quale strano motivo, si va dalle macchinazioni segrete, alla fortuna, al “perché lui l’ha inventato per primo” e via discorrendo.

Andiamo con ordine, dato che l’argomento è molto complesso e serviranno sicuramente altri articoli per sviscerarlo:

Punto primo: già l’arte contemporanea è un concetto che va preso con le pinze, dato che si tratta di una catalogazione di riferimento per chi studia in tale campo. Molti infatti, sbagliando, continuano a parlare delle fantomatiche tele bianche come di “quest’arte moderna incomprensibile”. Bene, l’arte moderna non ha nulla a che fare con le tele bianche, dato che, orientativamente, tramonta con l’impressionismo. Quindi, di tele bianche, ha visto solo quelle usate per supporto alla pittura.

Punto secondo: perché ostinarsi a parlare se non si studia, a parlare se non si conosce? L’arte contemporanea sfrutta dei linguaggi differenti da quelli a cui siamo abituati, linguaggi che non sono per tutti, spesso astratti, oscuri, difficilmente comprensibili. Ora faccio un esempio: se voi sentiste parlare un aborigeno, senza conoscere la sua lingua, direste che non avete capito, giusto? Non direste che non è una lingua la sua o che non sa comunicare. Sa farlo, semplicemente voi non conoscete l’aborigeno e non riuscite a capire ciò che dice. Così è anche per l’arte contemporanea.

Molti artisti che hanno lasciato il figurativo e la dimensione bidimensionale della tela, hanno solo scelto di non usare (per esempio) la cara e vecchia “illusione” della prospettiva (che, carissima amica, ci prende in giro facendoci credere che su un 2D si possa creare il 3D); altri hanno capito che non occorre simulare un oggetto, quando è più diretto e più corretto utilizzare l’oggetto stesso (perché scolpire un ferro da stiro quando posso esporre un vero ferro da stiro?); altri ancora hanno pensato che non fosse possibile rappresentare concetti come l’eternità, il divino, il bene, l’amore e così via attraverso qualcosa di figurato, quindi hanno cercato di esprimerli con qualcosa di ineffabile, di astratto. Niente di tanto diverso da ciò che fa la musica ad esempio, che esprime emozioni attraverso note, suoni e armonie.

Chiaro no?

Punto terzo: “le opere di una volta erano più belle” e “bisogna essere più bravi a fare quelle che a lasciare tutto bianco”. Condivisibile come pensiero, ma sino a un certo punto. Infatti se è vero che per certi esiti nel disegno, nel chiaroscuro, nella capacità tecnica in generale di un artista figurativo richiedono anni ed anni di studio, lo è altrettanto il fatto che molti che hanno scelto un diverso modo di esprimersi artisticamente prima son passati attraverso quei lunghi anni di studio e di fatica, salvo poi accorgersi che non era così che desideravano esprimersi. Il classico “Picasso disegnava benissimo, poi…”. Ma non è tutto qui: c’è da considerare anche che non tutta la fatica deve per forza misurarsi con la capacità tecnica. Certe opere d’arte contemporanea (per esempio nella land-art) sono decisamente più impegnative in termini di fatica. Altre opere, nell’astratto per esempio, richiedono profonde conoscenze e studi in discipline filosofiche, teologiche, fisiche, eccetera…

Infine dovete vedere quella “tela bianca” come un risultato, allo stesso modo della pittura che conoscete. E’ frutto di un differente processo creativo, spesso molto articolato e lungo anni. E se proprio vogliamo puntualizzare, anche l’utilizzo delle categorie “bello” e “brutto”, in arte, ha poco senso: l’arte è comunicazione e trasmissione di emozioni, qualunque esse siano. Al cinema vi lamentate se un film anziché trasmettervi gioia vi incute paura, come un horror? Credo di no. Non fatelo allora nemmeno davanti ad un quadro che ritenete brutto, che vi fa paura, che vi inquieta o vi dà il voltastomaco.

Il discorso potrebbe continuare in eterno, son stati scritti libri e libri sull’argomento e anche il grande mistero del prezzo di certe opere, vendute per milioni di dollari, merita d’essere trattato. Ne parleremo più in là in un articolo dedicato.

Chiudo dicendo che con non mi sogno di dire che tutta l’arte contemporanea sia effettivamente arte, ma anche il semplice dire cosa lo sia e cosa no è complicato. Ne parleremo.

Certo si vedono molte, forse troppe esagerazioni e sotto la “scusa” del processo creativo, l’ignoranza di certi compratori e di molto pubblico, ha consegnato all’arte dei veri e propri abomini. Ma sono convinto che la storia e la storia dell’arte saranno un setaccio finissimo in grado di lasciare ai posteri ciò che veramente merita e può insegnarci qualcosa.

Mi riservo il diritto di dire che la presente “apologia dell’arte contemporanea” è scritta da un medievalista convinto, amante di chiesette romaniche perse nelle campagne sarde. Fate voi. Io credo che ogni cosa vada valutata con criterio e che con la giusta dose di informazione, si riesca ad apprezzare tanto, basta un poco d’apertura e di attenzione in più.

Autore

2016-05-31

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