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Dracula: Recensione del film di Luc Besson sull’amore perduto

Caleb Landry Jones in Dracula Lamore perduto 2025

Il regista francese Luc Besson ha diretto “Dracula – L’amore perduto”, un film vampiresco uscito nelle sale il 29 ottobre 2025. La pellicola, recensita, reinventa il mito di Dracula come una tragedia romantica, allontanandosi dalle tradizionali atmosfere gotiche e concentrandosi sulla passione e sul desiderio.

Luc Besson ha scelto di reinterpretare il mito di Dracula, focalizzandosi su una tragedia romantica ambientata in epoche diverse. Il prologo, ambientato nel Quattrocento, narra di un principe che, dopo aver perso l’amata, sfida il destino e si condanna a una vita eterna da vampiro. Il racconto si sposta poi alla fine dell’Ottocento, tra Parigi e manicomi, dove un sacerdote sulle tracce dei non-morti incontra una giovane donna segnata dalla maledizione e un avvocato destinato a entrare nel castello di Dracula. Quando il conte Dracula rivede in Mina le sembianze di Elisabetta, la storia si evolve in un triangolo di seduzione, colpa e desiderio.

Il punto di forza e, al contempo, la debolezza di Dracula – L’amore perduto risiede nella scelta di spostare l’attenzione dal terrore alla passione. L’ambientazione nella Belle Époque parigina permette a Besson di esplorare il contrasto tra modernità e superstizione, trasformando Dracula in un pellegrino d’amore piuttosto che in un predatore. L’introduzione del sacerdote come figura antagonista al posto del cacciatore tradizionale presenta un’idea interessante, ma il conflitto spirituale rimane spesso più enunciato che sviluppato.

I momenti in cui il film osa sperimentare – come il profumo che attrae le vittime, i gargoyle che proteggono il castello, la scena alla corte di Versailles e l’assalto al convento – rivelano una forte personalità. Tuttavia, quando la trama deve progredire, il film ricorre a scorciatoie narrative: la trasformazione iniziale in vampiro è più postulata che costruita, e alcuni passaggi centrali risultano ripetitivi, attenuando l’urgenza emotiva. L’epilogo, definito “chiuso”, sacrifica l’ambiguità a favore di una narrazione più lineare.

Caleb Landry Jones interpreta Dracula, conferendogli una fisicità febbrile. L’attore riesce a trasmettere la ferita interiore del personaggio, evitando la caricatura. Zoë Bleu Sidel interpreta Mina, incarnando sia l’innocenza che il ricordo della perdizione. Christoph Waltz, nel ruolo del sacerdote, adotta un approccio sobrio ed evita l’eccessivo istrionismo.

La messinscena è curata, con costumi, arredi e scenografie che contribuiscono a creare un mondo sensuale. La fotografia, caratterizzata da nitidezza e chiarezza, si allinea all’impronta melodrammatica del film. La colonna sonora sostiene sia i momenti più intimi che quelli più drammatici.

Il film evita la paura fine a sé stessa, ma non rinuncia alla violenza come conseguenza delle azioni dei personaggi. Il vampiro seduce e morde per necessità, e la folla si inchina per terrore e desiderio. Questa scelta è coerente con il cinema di Besson, che spesso rielabora gli archetipi in chiave sentimentale. Tuttavia, il film convince quando si lascia andare all’eccesso visionario e delude quando semplifica la complessità del mito.

Il risultato è un’opera a tratti lirica e sensuale, a tratti didascalica, capace di creare sequenze potenti ma anche di perdersi in lungaggini che tolgono respiro alla narrazione. Questa versione di Dracula sceglie il melodramma all’orrore e ricorda che, al di là dell’immagine spaventosa, il vampiro è una figura del desiderio e dell’attesa.

Quando il film si affida completamente a questa intuizione, raggiunge nuove profondità; quando invece si limita a seguire le convenzioni, tradisce la propria ambizione. L’amore è qui salvezza e condanna, illuminando e saturando la narrazione. Non si tratta della migliore incarnazione del mito, ma di una deviazione d’autore che lascia un segno nella memoria.

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