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Le cose che sono nell’aria: recensione

Le cose che sono nell’aria: recensione

“Le cose che sono nell’aria”, edito da La Zattera Edizioni, è il secondo romanzo di Giampaolo Manca, avvocato civilista e curioso di professione.

C’è una vicenda, personale e professionale, che porta il protagonista Filippo Roversi a fare i conti con un passato irrisolto. Ha deciso di terminare la sua carriera da giudice con l’ultima sentenza, quella più pesante. E’ una sentenza che lo riporta ad un trauma mai superato, una ferita ancora aperta che lo fa vacillare, rendendo il suo equilibrio pericolosamente precario. E’ un appuntamento con se stesso, con le sue cicatrici, con tutto ciò che è stato rimandato per tanto, troppo tempo a data da destinarsi.

Per affrontare quest’ultimo gravoso compito decide di ripartire proprio dal passato. Si rifugia nella vecchia casa di famiglia, in un piccolo borgo abitato oramai da poche anime. Quelle strette viuzze l’hanno conosciuto bambino, poi ragazzo ed infine adulto, come prima di lui suo padre. E’ un viaggio a ritroso nel tempo, che lo spinge a riportare alla memoria persone, luoghi e vicende, che tessera dopo tessera formeranno un mosaico finalmente compiuto. Sarà l’occasione giusta per mettere ordine, per dare un senso, per conquistare pace e serenità finora solamente sognate.

Quella di Filippo è una macro-storia, all’interno della quale si inseriscono le vicende di diversi personaggi, tutti quanti legati al protagonista dall’Amore, in ogni sua declinazione.

E’ un romanzo che recita l’amore tenendolo fra le dita, come i grani di un rosario.

Racconta quello tra un padre ed un figlio, mai affrontato, frainteso, viziato da pregiudizi e preconcetti, intaccato da frasi mai dette, da presenze mancate ed età della vita sempre su binari diversi.

Parla dell’amore nella terza età, quando si è tanto simili ai bambini da confondere chi si ha accanto, quando la solitudine riesce a portarti ad un oblio che è una morte prima della morte, alla quale ci si sottrae solo se scaldati dal calore umano.

Ricorda l’amore dell’infanzia, pulito ed idealizzato, e quello giovane, pazzo, senza alcun senso o pianificazione, che non sente ragioni ne limiti, e poco impoorta che sia per sempre o per una notte. E’ l’amore dei vent’anni, “una conchiglia su cui posarsi per ascoltare la risacca”(Cit.).

Tratta dell’amore maturo, quello arrivato relativamente tardi, incontrato in terra straniera e divenuto casa.

Affronta l’amore al quale si da un prezzo, l’amore praticato per professione ed indigenza, quello che lascia segni non tanto sul corpo quanto sull’anima, colpita da giudizi scagliati come pietre da chi una mano non te l’ha tesa mai.

Descrive l’amore deluso, finito e passato, che lascia dietro di se tanta amarezza, dei figli da far crescere e tanta voglia di riscatto. Descrive il senso di smarrimento dopo un tradimento, la delusione per le incrollabili certezze dei “per sempre” che si sgretolano sotto il peso degli anni; l’offesa, la caduta, la risalita.

Compatisce quello mai arrivato, perchè sacrificato sull’altare della rinuncia, nel nome e per amore di un legame familiare, l’unico degno di chiamarsi tale in una vita fatta di abbandoni e bugie.

Ogni romanzo riuscito è un racconto autentico, genuino, per certi versi rischioso per l’autore, nudo davanti ad un pubblico che ne scruta debolezze e fragilità. I romanzi autentici ti sanno condurre dentro vicende altrui, che pagina dopo pagina scopri tue perchè universali.

“Le cose che sono nell’aria” possiede ognuna di queste caratteristiche. Arriva un momento nella vita di ognuno di noi nel quale siamo chiamati ad emettere “l’ultima sentenza”, a fare i conti con noi stessi, con ciò che siamo, con ciò che vogliamo essere o non essere più. Arriva un momento in cui ognuno di noi è Filippo Roversi.  

 

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