Il diritto di abitazione sulla casa coniugale adibita a residenza familiare di proprietà del coniuge defunto e di un terzo, non spetta al coniuge superstite non proprietario della casa medesima.
Il diritto di abitazione in favore del coniuge superstite è riconosciuto solo se la casa adibita a residenza familiare era di proprietà esclusiva del coniuge defunto (de cuius) o di proprietà comune tra lui e il coniuge superstite.
Esso non spetta, invece, se l’immobile apparteneva in comunione al coniuge defunto e a un terzo, diverso dal coniuge superstite.
È questa la decisione cui è pervenuta la Cassazione con la sentenza n. 15000/2021, risolvendo definitivamente un contrasto giurisprudenziale riguardante la possibilità o meno di acquisire il diritto di abitazione da parte del coniuge del defunto in caso di comproprietà con terzi dell’immobile adibito ad abitazione familiare.
La norma di riferimento è l’articolo 540, secondo comma, del codice civile che recita: “a favore del coniuge superstite, anche quando concorra all’eredità con altri chiamati, sono riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni”.
Questa norma ha dato origine a un contrasto giurisprudenziale, risolto definitivamente dalla sentenza in commento.
Esaminiamo insieme i fatti di causa.
La storia, cui ha preso spunto la Corte Suprema di Cassazione con la sentenza in commento, riguarda la successione di Tizio (nome di fantasia), in relazione alla quale la moglie di primo letto, Caia, e i comuni figli, chiedevano al Tribunale la divisione dei beni immobili caduti in successione, in particolare, la divisione dell’abitazione coniugale occupata da Sempronia – moglie di secondo letto che la abitava con Tizio quando questi era ancora in vita – nonché il pagamento di una indennità per l’occupazione del predetto immobile e la restituzione dei mobili posti a corredo dello stesso bene e dei gioielli contenuti nella già casa coniugale ai tempi in cui viveva la prima moglie, Caia.
A tal fine, citavano in giudizio Sempronia, moglie di secondo letto del defunto Tizio.
Sempronia si costituiva in giudizio, e aderiva alla domanda di divisione. Chiedeva, tuttavia, anche il riconoscimento del proprio diritto di abitazione sul suddetto appartamento e, in via subordinata, la dilazione della divisione della medesima unità immobiliare ai sensi dell’art. 1111 c.c..
Il Tribunale, con sentenza non definitiva, dichiarava aperta la successione di Tizio ed individuava i beni costituenti l’asse ereditario, rigettando la domanda di restituzione di Caia – la prima moglie – e le domande di Sempronia – la seconda moglie.
Con successiva sentenza, il Tribunale provvedeva alla divisione.
Contro la succitata sentenza di divisione proponeva appello, Sempronia – la seconda moglie – e appello incidentale Caia – la prima moglie – e i di lei figli avuti dal defunto Tizio.
La Corte d’Appello rigettava l’impugnazione principale e dichiarava inammissibile l’appello incidentale, compensando le spese.
In particolare, la Corte d’Appello – confermando la sentenza di primo grado e aderendo alla giurisprudenza della Cassazione (Cass. n. 6691/2000) – escludeva l’acquisto da parte di Sempronia – la seconda moglie – del diritto di abitazione ed di uso degli arredi della casa coniugale, già di comproprietà del defunto e della moglie di primo letto, Caia.
Contro la sentenza della Corte d’Appello, ricorreva in Cassazione Sempronia, moglie di secondo letto del defunto Tizio.
La Cassazione, con la sentenza in commento, ha sancito definitamente il superamento del preesistente e contrastante indirizzo giurisprudenziale risalente al 1987, ribadendo un principio già affermato da Cassazione n. 6691 del 23 maggio 2000, a mente del quale “a norma dell’art. 540 cod. civ., il presupposto perché sorgano a favore del coniuge superstite i diritti di abitazione della casa adibita a residenza familiare e di uso dei mobili che la arredano è che la suddetta casa e il relativo arredamento siano di proprietà del “de cuius” o in comunione tra lui e il coniuge, con la conseguenza che deve negarsi la configurabilità dei suddetti diritti nell’ipotesi in cui la casa familiare sia in comunione tra il coniuge defunto ed un terzo”.
Il suddetto principio, condiviso e ribadito dalla sentenza in commento, ha un suo precedente giurisprudenziale nella pronuncia Cass. civ., Sez. Seconda, Sent. 22 luglio 1991, n. 8171.
Con detta conforme sentenza i giudici ebbero ad affermare che “i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la arredano, previsti in favore del coniuge superstite, presuppongono per la loro concreta realizzazione l’appartenenza della casa e del relativo arredamento al “de cuius” o in comunione a costui e all’altro coniuge, non potendo estendersi a carico di quote di soggetti estranei all’eredità nel caso di comunione degli stessi beni tra il coniuge defunto e tali altri soggetti”.
Di diverso e contrastante avviso era stata Cassazione civile, Sezione Seconda, Sentenza n. 10 marzo 1987, n. 2474, secondo la quale “la titolarità del diritto di abitazione riconosciuto dall’art. 540, capoverso, del codice civile, al coniuge superstite sulla casa adibita a residenza familiare, poiché costituisce “ex lege” l’oggetto di un legato, viene acquisita immediatamente da detto coniuge, secondo la regola dei legati di specie (art. 649, secondo comma, cod. civ.), al momento dell’apertura della successione (…)”.
Questo orientamento risalente al 1987, come già detto, è stato superato definitivamente dalla sentenza in commento, nonché contrastato da Cass. n. 6691/2000 e da Cass. n. 8171/1991.
Deve, pertanto, concludersi che l’art. 540 comma secondo del codice civile, deve essere letto e interpretato alla luce della sentenza in commento e alle altre maggioritarie pronunce cit., in particolare a Cass. n. 6691/2000, in quanto presuppongono che “la figura dell’ex coniuge, comproprietaria della casa familiare con il de cuius, non può che configurare, un motivo ostativo all’applicabilità a favore dell’altro coniuge superstite (non proprietario) dei diritti di abitazione della casa adibita ad abitazione familiare”.