Un altro significativo passo avanti alla libertà di scelta è stato compiuto per le persone gravemente e irreversibilmente malate. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 135 del 18.07.2024, ha ampliato la possibilità di accesso all’aiuto alla morte volontaria.
La pronuncia, si legge nella sentenza, nasce da un procedimento penale contro tre persone (tra le quali l’Avv. Marco Cappato dell’Associazione Luca Coscioni) per avere, in violazione dell’art. 580 del codice penale (istigazione o aiuto al suicidio), aiutato un paziente, Massimiliano S., affetto da sclerosi multipla di grado avanzato, in stato di quasi totale immobilità, ad accedere al suicidio assistito in una struttura privata svizzera. Il GIP (giudice per le indagini preliminari) ha rilevato che il paziente si trovava in una condizione di acuta sofferenza, determinata da una patologia irreversibile e aveva formato la propria decisione in modo libero e consapevole, ma non era tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale (TSV), ossia da interventi farmacologici e tecnologici utilizzati per salvare la vita del paziente (ne sono alcuni esempi: la rianimazione cardiopolmonare, la ventilazione meccanica, l’uso di farmaci attivi sul sistema cardiocircolatorio, la nutrizione artificiale, la dialisi). Pertanto, ha ritenuto che non sussistessero tutte le condizioni di non punibilità del suicidio assistito fissate dalla Corte costituzionale nella sua precedente sentenza n. 242 del 2019 che prevede, invece, quale requisito essenziale, che il paziente sia tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale. Il GIP ha chiesto, pertanto, alla Corte di rimuovere il requisito della dipendenza da trattamenti di sostegno vitale, ritenendolo in contrasto con i principi costituzionali di eguaglianza, di autodeterminazione terapeutica, di dignità della persona, nonché
con il diritto al rispetto della vita privata riconosciuto dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
La Consulta, sebbene non abbia accolto la richiesta del GIP di eliminare il criterio della dipendenza da trattamento di sostegno vitale per accedere all’aiuto a morire, ha, e qui sta il discrimine e l’ampliamento interpretativo, esteso il concetto di trattamento di sostegno vitale, includendovi anche trattamenti di sostegno vitali forniti da familiari e personale non medico – quali, ad esempio, l’evacuazione manuale, l’inserimento di cateteri o l’aspirazione del muco dalle vie bronchiali – attività normalmente compiute da personale sanitario, ma che possono essere eseguite anche da familiari o “caregivers” che assistono il paziente, purché la loro interruzione determini prevedibilmente la morte del paziente in un breve lasso di tempo.
Nel 2019, con la sentenza n. 242, (caso Cappato sull’aiuto dato a Fabiano Antoniani noto Dj Fabo), la Corte costituzionale ha stabilito che, per poter accedere legalmente all’aiuto medico alla morte volontaria, la persona deve essere in possesso di determinati requisiti: a) essere affetta da una patologia irreversibile, b) capace di autodeterminarsi, c) reputare intollerabili le sofferenze fisiche o psicologiche che la malattia determina, e, infine, d) dipendere da trattamenti di sostegno vitale. In presenza di tali requisiti, la Corte Costituzionale ha escluso la punibilità di chi fornisce l’aiuto alla morte volontaria, prevista dal cit. articolo 580 del codice penale, a mente del quale “chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni”.
Con la odierna sentenza n. 135/2024 in commento, la Corte ribadisce gli attuali requisiti stabiliti dalla sentenza n. 242 del 2019, richiesti per l’accesso al suicidio assistito, compresa
la dipendenza del paziente da trattamenti di sostegno vitale, e ne precisa il significato, ampliandone sul piano concettuale e interpretativo il campo di applicazione includendovi anche trattamenti di sostegno vitali forniti da familiari e personale non medico. Ai fini dell’accesso al suicidio assistito, precisa la Corte, non vi può essere alcuna distinzione tra la situazione del paziente già sottoposto a trattamenti di sostegno vitale, di cui può chiedere legittimamente l’interruzione, come nel caso Dj Fabo deciso dalla Corte con la sentenza 242/2019, e quella del paziente non ancora sottoposto a tali trattamenti, di cui oramai necessita per sostenere le sue funzioni vitali, come nel caso di Massimiliano S. deciso dalla Corte con la sentenza 135/2024 del 18.07.2024, in quanto, anche in quest’ultima situazione, il paziente, potendo legittimamente rifiutare il trattamento, si trova già nelle condizioni indicate dalla sentenza n. 242 del 2019.
Così ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza n. 135 depositata il 18 luglio scorso, e dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal GIP (giudice per le indagini preliminari) di Firenze sull’articolo 580 del codice penale (istigazione o aiuto al suicidio) che miravano a estendere l’area della non punibilità del suicidio assistito oltre i confini stabiliti dalla Corte con la sua precedente sentenza n. 242 del 2019.
La Corte, nella parte conclusiva delle motivazioni, ha espresso il forte auspicio che il legislatore e il servizio sanitario nazionale assicurino concreta e puntuale attuazione ai principi fissati dalla propria precedente sentenza del 2019, ferma restando la possibilità per il legislatore di dettare una diversa disciplina, nel rispetto dei principi richiamati. E ha ribadito lo stringente appello, già formulato in precedenti occasioni, affinché sia garantita a tutti i pazienti una effettiva possibilità di accesso alle cure palliative appropriate per
controllare la loro sofferenza, secondo quanto previsto dalla legge n. 38 del 2010.