La repentinità dell’azione, il luogo e il tempo della condotta e le modalità dell’azione, non consentono di configurare l’intento libidinoso o di concupiscenza generalmente richiesto dalla norma penale.
È quanto deciso dal Tribunale di Roma, Sezione V penale, con la sentenza del 6 luglio 2023 a mente della quale “la condotta posta in essere dall’imputato (…) integra sicuramente l’elemento oggettivo della fattispecie incriminatrice di cui all’art. 609 bis c.p. avendo egli repentinamente toccato i glutei della parte lesa, zona erogena”. In tema di violenza sessuale, infatti, l’elemento oggettivo del reato può consistere anche, come nel caso di specie, nel compimento di atti di libidine subdoli e repentini, compiuti senza accertarsi del consenso della persona destinataria, o comunque prevenendone la manifestazione di dissenso.
Quanto all’elemento soggettivo (dolo), le modalità dell’azione lasciano ampi margini di dubbio sulla volontarietà nella violazione della libertà sessuale della ragazza, considerato proprio la natura di sfioramento dei glutei, per un tempo sicuramente minimo, posto che l’intera azione si concentra in una manciata di secondi, senza alcun indugio nel toccamento.
L’assoluzione del bidello ha destato nell’opinione pubblica molte polemiche e qualche slogan di troppo. Fuorviante appare l’interpretazione data da alcuni mass media alla sentenza secondo cui il giudice avrebbe assolto l’imputato, perché il fatto non costituisce reato, esclusivamente perché l’atto incriminato sarebbe durato solo pochi istanti.
Da una lettura più approfondita della sentenza, le motivazioni dell’assoluzione poggiano invece su altri e più significativi rilievi giuridici. Esaminiamo, in estrema sintesi, i passaggi più salienti della sentenza.
Il giudice chiarisce che la condotta posta in essere dall’imputato, quale descritta dalla persona offesa, integra sicuramente l’elemento oggettivo della fattispecie incriminatrice di cui all’art. 609 bis c.p.: egli, prosegue il giudice, ha infatti repentinamente toccato i glutei della parte lesa, zona erogena. In tema di violenza sessuale l’elemento oggettivo può consistere sia nella violenza fisica in senso stretto, sia nella intimidazione psicologica che sia in grado di provocare la coazione della vittima a subire gli atti sessuali, sia, come nel caso di specie, nel compimento di atti di libidine subdoli e repentini, compiuti senza accertarsi del consenso della persona destinataria, o comunque prevenendone la manifestazione di dissenso.
Quanto, invece, all’elemento soggettivo del reato (dolo), si legge nella sentenza: “la repentinità dell’azione, senza alcuna insistenza nel toccamento, da considerarsi quasi uno sfioramento, il luogo e il tempo della condotta, in pieno giorno in locale aperto al pubblico e in presenza di altre persone, e le stesse modalità dell’azione poi conclusasi con il sollevamento della ragazza, non consentono di configurare l’intento libidinoso o di concupiscenza generalmente richiesto dalla norma penale. Appare, pertanto, convincente la tesi difensiva dell’atto scherzoso, sicuramente inopportuno nel contesto in cui è stato realizzato per la natura del luogo e dei rapporti tra alunno e ausiliario.
Sul punto il giudice ricorda che la natura scherzosa dell’atto non esclude in astratto l’elemento soggettivo richiesto dalla norma.
La Corte di Cassazione, prosegue il giudice, ha infatti ampiamente affermato che, in tema di violenza sessuale, il gesto compiuto “ioci causa” o con finalità di irrisione è qualificabile come atto sessuale punibile ai sensi dell’art 609 bis c.p. allorquando per le caratteristiche intrinseche dell’azione, rappresenta un’intrusione violenta nella sfera sessuale della vittima.
Nel caso di specie, tuttavia, prosegue il giudice, le modalità dell’azione lasciano ampi margini di dubbio sulla volontarietà nella violazione della libertà sessuale della ragazza, considerato proprio la natura di sfioramento dei glutei, per un tempo sicuramente minimo, posto che l’intera azione si concentra in una manciata di secondi, senza alcun indugio nel toccamento. Inoltre, appare verosimile che lo sfioramento dei glutei sia stato causato da una manovra maldestra dell’imputato che, in ragione della dinamica dell’azione, posta in essere mentre i soggetti erano in movimento e in dislivello l’uno dall’altra, potrebbe avere accidentalmente e fortuitamente attivato un movimento ulteriore e non confacente all’intento iniziale.
In tal senso depone anche la condotta successiva dell’imputato, che solo alla manifestazione di disagio della ragazza, si è reso conto della natura inopportuna del suo gesto, andato oltre le proprie intenzioni, tanto da cercare di chiarire la situazione ed evitare ogni fraintendimento.
L’incertezza sulla sussistenza dell’elemento soggettivo, conclude il giudice, impone una pronuncia assolutoria … perché il fatto non costituisce reato.
Avverso la sentenza di assoluzione, la Procura della Repubblica di Roma ha proposto appello “per erronea valutazione delle prove acquisite, nonché per travisamento dei fatti”. Il Tribunale, si legge nella nota, avrebbe sbagliato nell’asserire che “si sarebbe trattato di un toccamento fugace, quasi uno sfioramento, avvenuto peraltro in presenza di altre persone. La parte lesa, invece, parla di un’azione durata tra i cinque ed i dieci secondi, che non appaiono un tempo cosi istantaneo tanto che l’amica, senz’altro sbagliando nella percezione ma sicuramente fuorviata dal fatto che non si è trattato di un gesto di durata trascurabile, lo colloca invero nell’arco temporale di trenta secondi”.
Sotto altro profilo, è indubbio che l’elemento soggettivo del reato di violenza sessuale, ex art. 609 bis c.p., sia integrato dal dolo generico consistente “nella coscienza e volontà di compiere un atto invasivo e lesivo della libertà sessuale della persona offesa non consenziente”, non assumendo alcuna rilevanza giuridica la circostanza che detto atto sia diretto al soddisfacimento dei desideri dell’agente, o di possibili fini ulteriori – di concupiscenza, di giuoco, di mera violenza fisica o di umiliazione morale – dal medesimo perseguiti, e non dal dolo specifico, come sembra, invece, propendere il collegio giudicante nella parte in cui afferma nella parte motiva della sentenza che le modalità dell’azione “… non consentono di configurare l’intento libidinoso o di concupiscenza generalmente richiesto dalla norma penale”.
Nel concetto di atto sessuale, infatti, per consolidata giurisprudenza, coerentemente alla ratio della norma in esame, deve ricomprendervi ogni atto oggettivamente idoneo ad attentare alla libertà sessuale del soggetto passivo non consenziente, comunque coinvolgente la corporeità della persona offesa, e posto in essere con la coscienza e volontà di compiere un atto invasivo e lesivo della libertà sessuale della persona offesa non consenziente.
La norma d’altra parte è posta a tutela della libertà sessuale, intesa come libertà della persona, e trova riconoscimento nell’art. 2 della Costituzione la cui piena tutela non permette “possibili attenuazioni che possano derivare dalla ricerca del fine ulteriore e diverso dalla semplice consapevolezza di compiere un atto invasivo della sfera sessuale altrui senza consenso. La condotta penalmente rilevante va quindi valutata in relazione al rispetto dovuto alla persona ed all’attitudine della condotta ad offendere la libertà di determinazione della stessa (Altalex 17.05.2017)”.