Rita Caredda

L’Arte per vivere raccontata da Rita Caredda

È di poche settimane fa la notizia del prestigioso premio “Diploma d’Autore” ricevuto da Rita Caredda, artista cagliaritana, classe 1970, ricevuto alla Biennale di Roma in Campidoglio che ha ospitato centinaia di autori fra pittori, scultori e fotografi da tutto il mondo.

Rita Caredda, esperta in tecniche polimateriche miste, ha vinto con “Blu Reale”, un’opera in rilievo astratta. Essa rappresenta le più profonde emozioni dell’artista, il suo essere tumultuoso alternato a momenti di serenità. Il colore blu rappresenta la ricerca della tranquillità e dell’armonia.

Blu Reale
Blu Reale

Rita Caredda è nata artista. Ma come spesso accade, prima di poterlo manifestare concretamente oltre le pareti di casa, ha avuto una vita di lavoro in ambiti molto diversi. Dopo gli studi universitari, per quasi venti anni è stata responsabile di diverse Agenzie per il Lavoro, ricoprendo incarichi di prestigio. Una carriera di successo studiata e voluta con determinazione.

Poi nel 2020, con la pandemia, chiusa in casa come milioni di italiani, la vena artistica ha preso il sopravvento portando Rita a una scelta categorica: vivere d’arte. Dedicarsi a quel talento artistico da affinare studiando ma soprattutto creando. Guardando le sue opere sembra che il focus della sua speculazione sia incentrato su se stessa.

Da donna bellissima e attraente che è, con quel quid di sardità mediterranea, tutta di Gergei, espone in numerose mostre collettive, anche internazionali (ha esposto a Milano, Roma, Berlino, Bruxelles, Barcellona), opere di una modernità senza confini. L’elemento femminilità è predominante. “L’io” urlato dell’artista si sente dalle sue tele.

Rita si aspettava questo importante riconoscimento alla Biennale internazionale di Roma?
Assolutamente no, è stato un riconoscimento totalmente inaspettato. Poter ricevere un premio al Campidoglio è stato un grandissimo onore nonché una grande emozione. Poter condividere questo riconoscimento con due artisti conterranei, Viola Vistosu e Mario Biancacci, che stimo tantissimo ancora di più.

Osservando le opere, l’elemento che più mi colpisce è la sua voglia di raccontarsi. C’è stato molto silenzio nella sua vita?
Direi di no, al contrario, la mia vita è stata alquanto chiassosa e movimentata. Per circa vent’anni ho svolto un lavoro che mi portava quotidianamente ad interagire con persone, fossero esse clienti o lavoratori. Viaggiavo spesso per lavoro e il silenzio non è mai stato contemplato. Le mie giornate terminavano quasi sempre in compagnia degli amici o dei colleghi; poi, arrivata a casa, come accade a ognuno di noi quando si rimane soli, levata la maschera delle circostanze come in un’opera pirandelliana, senza dover dimostrare niente a nessuno, stavo in silenzio e mi scontravo con il mio essere più profondo. Il silenzio faceva emergere la mia vera essenza. Per questa ragione ho sempre amato il silenzio e in cuor mio l’ho sempre cercato e da un po’ di tempo l’ho trovato. L’ho trovato nell’arte, un silenzio che racconta. Un silenzio che racconta una parte di me, quella che si cela dietro l’apparenza, quello che racconta i miei stati d’animo mutevoli. Quando sono davanti alle mie tele bianche, sto diverso tempo ad osservarle in silenzio, sono in una dimensione tutta mia, non penso a nulla, solo a quel bianco candido che poco dopo prenderà forma e colore… mi sento in pace.

Questa sua tecnica mista tra pittura e fotografia, da dove ha origine?
In questi ultimi anni ho deciso di dare sfogo ad un’altra mia grande passione, la fotografia, e così ho cominciato a frequentare una scuola di Fotografia chiamata “La bottega della luce”. Tra i tanti corsi che ho frequentato, uno in particolare, “Fotografia e Pittura”, mi ha dato la possibilità di analizzare le diverse correnti artistiche per poi amalgamarle alla fotografia. Il compito di fine corso prevedeva che manipolassimo un nostro scatto. Ho dunque realizzato un autoritratto, trasferito su tela e dato sfogo alla mia arte. Nell’arte contemporanea si utilizza spesso la tecnica dell’ibridazione, ovvero la fusione di opere d’arte diverse in una combinazione tutta nuova. Perciò mi sono detta: perché non creare una commistione tra fotografia e pittura? Ed è da lì che ho iniziato con le prime opere di fotografia e pittura.


C’è una parte della sua vita da cui non può prescindere: la malattia. Vuole raccontare ai nostri lettori come si convive con una malattia e che peso ha nella sua arte?
Mi viene in mente una frase di Platone che recita queste parole: “Ogni persona che incontri sta combattendo una battaglia di cui non sai niente. Sii gentile sempre.” Che dire, io come tanti altri di cui non sappiamo nulla, la mia battaglia la combatto da vent’anni. Ricordo come fosse oggi il giorno della diagnosi, a poco più di 30 anni. Mi è crollato il mondo addosso, la paura ha preso il sopravvento. Avevo una miriade di progetti, un contratto di lavoro da qualche mese in una multinazionale, e stavo male. Insomma, all’improvviso mi aspettava un futuro incerto. Da quel momento ho capito che avrei dovuto lavorare su me stessa e accettare la malattia. Sono tornata al lavoro anche se non stavo ancora bene, ma dovevo farlo. Avevo la necessità di esorcizzare la malattia e trovare il giusto sfogo per non pensare. Amavo il mio lavoro. Ho nascosto a tutti la mia malattia per anni, non volevo che mi vedessero come una malata. Avevo paura che la malattia potesse in qualche modo influire sul lavoro e sulla mia vita privata.

Ho allontanato da me tutto ciò che era negativo, circondandomi solo di positività. Ho imparato a prendere per mano la malattia, per quanto possibile, con il sorriso. Ho attraversato tanti momenti bui, con innumerevoli ricadute. Ho imparato che quando la paura bussa alla porta e ti senti tremare come una foglia, devi tirare fuori la grinta perché la paura paralizza, ipnotizza. Capita ancora spesso, faccio un bel respiro anche se mi sento in difficoltà, tiro fuori il mio sorriso migliore e vado avanti. Sì, nella mia arte c’è molto della malattia. “Blu reale”, ad esempio, è una composizione divisa in due parti. Nella parte superiore, l’uniformità del colore rappresenta i momenti di calma e serenità, mentre la parte inferiore, quella goffrata con innumerevoli zone d’ombra, racconta le mie paure e le mie angosce. Cerco la serenità nei toni del blu, come il blu oltremare, uno dei miei preferiti, e nei turchesi tipici delle nostre acque. Trovo nella natura la mia fonte di ispirazione, nella terra, nel mare, nelle costellazioni, nei cieli dove mi perdo ad ammirare le più belle opere d’arte con le variegate tonalità di colore, soprattutto al crepuscolo.

Moglie e madre. Come vivono i suoi affetti più cari l’artista ritrovata?
Mio marito e mia figlia hanno avuto un’importanza rilevante nella mia scelta. Sono stati proprio loro, i miei affetti più cari, ad avermi dato la determinazione per buttarmi totalmente in questa avventura. Mia figlia, di appena otto anni, una sera a cena, mentre si chiacchierava e si parlava della mia arte, mi disse: “Mamma, devi crederci…”. In quel momento ho pensato alla celebre frase di Disney “Se puoi sognarlo, puoi farlo”. E se una bambina di appena otto anni ti dà questa motivazione, non puoi non coglierla. Mio marito poi è il mio più attivo sostenitore e mi dà sempre la giusta carica, per questo lo ringrazio. Lo ringrazio per avermi spinto a seguire le mie passioni soffocate negli anni. Sono felice di averli al mio fianco. Mia figlia poi è una critica nata. La adoro!

Prossimi progetti, mostre?
Il nove giugno sarò in mostra a Firenze con una mia opera, che sarà anche pubblicata in un editoriale. È una mostra importante presentata dal critico d’arte Angelo Crespi.
A settembre mi attende un altro evento importante, ma per scaramanzia ancora non posso rivelarlo. Ho poi un progetto fotografico da sviluppare a breve e un altro in fase di progettazione a cui tengo molto, che realizzerò insieme a una cara amica fotografa.

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2023-05-15

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