La scaleup D-Orbit, fondata da Renato Panesi e Luca Rossettini, è emersa come uno dei principali casi di successo nella Space Economy. Nata da un’idea sviluppata da due studenti italiani negli Stati Uniti nel 2009, la società ha sede in Europa, USA e Inghilterra. D-Orbit, vincitrice del premio Startup of the Year nel 2023, si occupa di tecnologie per riportare sulla terra i satelliti a fine vita.
Renato Panesi, co-founder di D-Orbit, ha dichiarato: «Se oggi leggo il business plan fatto all’inizio, mi metto a ridere e mi chiedo come abbia potuto il primo fondo credere in noi».
Nel 2009, durante un periodo di studi negli Stati Uniti, Renato Panesi e Luca Rossettini, grazie a una borsa di studio, iniziarono a sviluppare l’idea di D-Orbit presso la Santa Clara University. All’epoca, le società private attive nel settore spaziale erano rare, e le startup ancora di più, a causa degli ingenti investimenti necessari e dei ricavi a lungo termine. «Siamo finiti alla NASA e lì abbiamo proseguito lungo la costruzione della nostra idea», ha affermato Panesi.
Nel 2011, rientrati in Italia, Panesi e Rossettini fondarono la startup. Inizialmente, l’accoglienza non fu positiva: «Quando presentavamo D-Orbit quasi ci cacciavano», ricorda Panesi. Il primo finanziamento, pari a 300 mila euro, arrivò da Fondamenta, fondo che poi è diventato Quadrivio e successivamente Indaco Ventures, attualmente l’azionista di maggioranza relativo della scaleup.
La crescita di D-Orbit è stata rapida. Nel 2020, l’azienda contava 50 dipendenti. Nel 2023, è stata completata la prima tranche di un round da 150 milioni di euro, concluso nel 2024. Successivamente, D-Orbit ha acquisito la startup Planetek e ha aperto sedi in UK, USA e Portogallo. Attualmente, l’azienda conta 600 dipendenti e prevede un fatturato di 40 milioni di euro per quest’anno, rispetto ai due milioni del 2020. D-Orbit collabora con le agenzie spaziali italiane ed europee.
Panesi, 50 anni, ingegnere spaziale formatosi a Pisa, oggi ricopre il ruolo di direttore commerciale e viaggia frequentemente per lavoro.
Panesi ha spiegato come il progetto D-Orbit si sia evoluto nel tempo: «Direi che lo abbiamo stravolto. A volte guardo i business plan di 14 anni fa e mi metto a ridere, chiedendomi come abbiano fatto i primi investitori a credere in noi. Abbiamo pivotato tante volte. La prima tecnologia che abbiamo lanciato per portare sulla terra i satelliti a fine vita, oggi è solo una parte dei servizi che offriamo. Abbiamo creato nel tempo diverse business unit, dal “tagliando spaziale” con cui ci occupiamo di riparare i satelliti in orbita chiamato GEA, fino al cloud computing, con Aurora, un servizio che aiuta a gestire un singolo satellite o un’intera costellazione attraverso un’interfaccia web di controllo completamente personalizzabile».
Panesi ha raccontato un aneddoto relativo al primo lancio: «Al primo lancio avevo fatto preparare due comunicati stampa. Uno in caso di fallimento, nel caso in cui il lancio fosse andato male, mandando in fumo tutto. E un secondo nell’eventualità che le cose fossero andate nel verso giusto, come per fortuna andarono. Mi capita di ripensare a cosa sarebbe successo di fronte a un fallimento, a come avremmo motivato la squadra che per anni aveva lavorato a quel progetto e posso dirti che è stato uno di quei momenti in cui ho avuto paura di non farcela. Oggi che abbiamo più di 19 lanci alle spalle, penso ancora a quel giorno che avrebbe potuto cambiare tutto».
Riguardo al premio di Migliore Startup dell’Anno a SIOS e al finanziamento ottenuto nel 2023, Panesi ha detto: «Ho un ricordo speciale. Né io né Luca potemmo essere presenti al premio perché nella stessa giornata eravamo dal notaio per il primo closing del round da 150 milioni. Sia la notizia del round che la vittoria a SIOS ci hanno dato una grossa spinta nell’accrescere la brand awareness sia presso i palazzi romani che la stampa».
«Da quel giorno in più tanti giornalisti ci contattano per chiedere novità sul nostro progetto. Allo stesso tempo, la vittoria al SIOS ha contribuito a farci conoscere di più anche al di fuori dei confini nazionali, portando tanti talenti, italiani, ma anche stranieri, a fare application. Oggi possiamo contare su un gruppo di lavoro che ha al suo interno 18 diverse nazionalità, tra europei, americani, giapponesi, brasiliani. Un’azienda italiana controcorrente che attrae cervelli dall’estero».
Sulla gestione della crescita e del team, Panesi ha spiegato: «Sono le persone a fare cose. Non si spendono mai troppe parole sull’importanza del team. Se i primi investor hanno messo soldi in D-Orbit è perché hanno creduto innanzitutto in noi. Ora una cosa è gestire una squadra di poche persone, altra è se sono 100, o poi 600 come nel nostro caso. Ricordo che all’inizio per me è stato anche un problema anche affrontare la gravidanza di una mia dipendente. Non avevo proprio le competenze e gli strumenti».
«La soluzione è di affidarsi a persone capaci di farlo. Oggi in azienda abbiamo un People and Culture Officer che si occupa dei bisogni dei nostri collaboratori, dai piani di carriera alla formazione. Tuttavia, devo dire che quando si tratta di riportare nella giusta carreggiata la pecorella smarrita, i fondatori assumono sempre un ruolo fondamentale».
Panesi ha aggiunto: «Io una lezione l’ho imparata. Non è detto che tutte le persone siano adatte a ogni fase dell’azienda. Bisogna avere il coraggio di cambiare, di provare a recuperare tutti, con percorsi di coaching, ma essere pronti a rinunciare anche a quelle che erano “rockstar” in passato, per aprirsi al nuovo. Non è il nostro caso, ma molte startup cambiano il Ceo in fase di crescita, proprio perché ci sono momenti che richiedono una gestione completamente diversa rispetto ai primi anni di fondazione. Una chiave per crescere è allora saper integrare le persone giuste al momento giusto».
Tra gli errori da evitare, Panesi ha indicato: «Non commettere errori banali, per esempio di non dotarsi di un CFO, come abbiamo fatto noi all’inizio. Quando entrano gli investitori vogliono essere assicurati che ci sia una persona in azienda, “un guardiano delle casse, attento e affidabile”. In altre parole, **non pensare mai di poter bastare a te stesso**».
Valutando il momento dell’innovazione italiana, Panesi ha affermato: «Se parliamo di space economy siamo una delle poche economie europee, insieme alla Francia, a poter coprire tutta la filiera per il lancio di una missione spaziale. Nel frattempo, nascono fondi di venture dedicati, come Primo Capital e anche l’ingresso di CDP ha rilanciato la filiera».
«Mancano ancora i fondi che ti staccano finanziamenti da 20-30 milioni, che sono poi quelli che ti permettono di scalare. La nostra economia è fatta principalmente di aziende a conduzione familiare che non sempre hanno l’ambizione di crescere. Anche le grandi corporate poi non hanno un fondo di venture capital, come accade in altri Paesi. A questo poi si aggiungono notizie che fanno cadere le braccia, come quando leggo che Arduino è stata comprata da Qualcomm…».
Guardando al futuro di D-Orbit, Panesi ha concluso: «Abbiamo messo delle buone basi in questi anni. Allargato i servizi, aperto sedi in altri Paesi come quella in UK che poi ci ha indicato nuove strade, con il governo britannico che dopo la Brexit ha aumentato i finanziamenti in alcuni settori, come il nostro, per non perdere terreno. Negli Stati Uniti invece stiamo costruendo. Parliamo di un mercato molto complesso nel quale scontiamo il fatto che essendo italiani non possiamo fare business con agenzie governative, pur avendo un ufficio lì. Quello che ci dà tranquillità e fiducia è aver costruito delle commesse importanti. Oggi abbiamo contratti firmati per un valore di circa 200 milioni che alimenteranno i ricavi nei prossimi anni e oltre 200 clienti paganti».

