Un recente studio pubblicato su Nature Climate Change ha evidenziato come il consumo di carne non sia sostenibile, quantificando l’impronta carbonica legata alla produzione, preparazione e trasporto di carne in oltre 3.500 città statunitensi. Ogni anno, questo processo produce circa 329 milioni di tonnellate di CO2, un dato comparabile alle 313 milioni di tonnellate di gas serra emesse dall’Italia.
La ricerca ha analizzato i dati di 3.531 città, scoprendo che il consumo totale di carne ammonta a 11 milioni di tonnellate, suddivise in 4,6 milioni di tonnellate di pollo, 3,7 milioni di tonnellate di manzo e 2,7 milioni di tonnellate di maiale. È emerso che la maggior parte delle emissioni deriva dai luoghi di produzione, spesso diversi da quelli di consumo. In particolare, 868 città presentavano un consumo pro capite superiore alla media, ma un’impronta di carbonio legata alla produzione di carne inferiore alla media. Benjamin Goldstein, coordinatore dello studio, ha sottolineato che «questo ha enormi implicazioni per il modo in cui valutiamo, misuriamo e cerchiamo di ridurre l’impatto ambientale delle città».
Una nota positiva è che piccoli cambiamenti nelle abitudini di consumo potrebbero portare a significative riduzioni dell’impronta di carbonio. Ad esempio, ridurre lo spreco alimentare del 16% potrebbe abbattere le emissioni. Inoltre, adottare un “lunedì senza carne” comporterebbe una riduzione del 14%; sostituire metà del consumo di carne di manzo con maiale o pollo potrebbe comportare una diminuzione del 29% delle emissioni (fino al 33% passando esclusivamente al pollo). Combinando tutte e tre queste azioni, sarebbe possibile dimezzare le emissioni senza rinunciare completamente alla carne.

