Italia: terra di santi, poeti, navigatori e leggende sportive… Oggi lanciamo un parallelo che, se magari ai più sembrerà ardito, proporrà all’attenzione di tutti noi una serie di scenari di sicuro appeal! Una delle parole-chiave di questa storia è: testimone. Nella staffetta si usa quando due atleti si scambiano un bastoncino quale passaggio di consegne tra chi termina un tratto di corsa e chi ne comincia uno successivo; il testimone di cui oggi ci serviremo risponde al nome di “tempo” quale collante e ideale osmosi fra due storie-parabole che seppur distanti fra loro circa trent’anni, sono in realtà molto vicine per le caratteristiche che accomunano i nostri protagonisti.
Entrambi sono annoverati quali corridori di “fondo” che in atletica leggera disputano quelle gare tra le più lunghe e dispendiose, discipline peraltro che a livello olimpico difficilmente vedono un atleta che non appartenga alle élites dello sport africano dettare legge e prevalere. Si tratta dunque di due mosche bianche che in tempi diversi hanno spezzato questa egemonia, affermando che oltre all’atomo il concetto di relatività fa spesso “pendant” anche con il mondo dello sport.
C’è un momento in cui uno sportivo oltrepassa idealmente la soglia dell’olimpo per divenire imperitura leggenda… non a caso da Fidippide in poi funziona proprio cosí… affinché ciò avvenga non bastano la vittoria o la medaglia, ma condizioni “straordinarie” che maturino una tantum e facciano gridare al miracolo (sportivo, s’intende).
Europei di Spalato 1990. La gara dei cinquemila metri sta per cominciare e ai nastri di partenza c’è anche il nostro Salvatore Antibo che contende quell’anno al compianto Schillaci, il titolo di Totò più amato dagl’italiani. Quando l’eco delle notti magiche ancora risuona nelle teste degli appassionati sportivi, c’è infatti un altro fuoriclasse per cui il belpaese si ritrovi volentieri in massa dinanzi al televisore: quel Totò Antibo da Altofonte che promette battaglia contro lo strapotere degli scipioni d’Africa.
Pronti via e Totò, fresco oro nei diecimila metri disputati pochi giorni prima, inciampa e cade! Gara compromessa con il gruppo che scivola via a sessanta metri da Antibo che cerca di recuperare l’andatura mentre alcuni atleti scattano per impedire al siciliano di potersi riagganciare rapidamente al treno di testa. Tempo due giri e Antibo rientra brillantemente senza accusare in apparenza fatica alcuna.
E arriviamo così all’ultimo giro dove due atleti scattano e cercano di “frenare” Totò che dopo l’incubo della falsa partenza s’infila di forza fra i due, rintuzza l’ultima zampata del campione britannico frantumandone speranze e velleità, fino ad arrivare “in solitaria” al traguardo braccia al cielo più forte della sfortuna e della sua malattia, una rara forma di epilessia che tutti ignoravamo e che lo avrebbe tradito un anno più tardi a Tokyo, proprio durante la disputa della finale mondiale dei diecimila metri: quel giorno conoscemmo la verità e Totò entrò di diritto nell’olimpo di questo sport quale autentica leggenda-miracolo.
E dunque, chi mai potrà dirsi erede di quel testimone così “pesante” quale quello lasciato ai posteri da un atleta “monstre” quale Antibo? Nadia è una giovane fanciulla della Val di Non il cui carisma procede già da qualche tempo a braccetto con prestazioni sportive altisonanti spesso condite da primati nazionali e internazionali di assoluto livello e valore: con lei possiamo dire a ragione, che Parigi val bene una freccia d’argento (meglio ancora una medaglia, s’intende). La Nadia nazionale che di cognome fa Battocletti è quel prototipo di atleta che diventa leggenda (come Totò) quando il suo exploit matura attraverso condizioni avverse riconosciute unanimemente quali straordinarie, eccezionali.
Parigi 9 Agosto 2024: siamo nel cuore della kermesse olimpica e allo “Stade de France” va in scena la finale dei diecimila metri femminili che vede ai nastri di partenza Nadia Battocletti reduce dal sogno appena infranto di un bronzo prima accarezzato e poi svanito, quello della finale dei cinquemila metri disputata quattro giorni prima con la beffa di un ricorso prima accolto e poi respinto. Ma si sa, il modo migliore di smaltire una “caduta” è quello di rimontare subito in sella per riprovarci alla prima occasione: ed è quello che fa Nadia la quale a poche ore dalla gara, incurante dei consigli dello staff e dei suoi genitori (ex atleti) che la invitano a più riprese a dare forfait causa acclarato sovraffaticamento muscolare, decide di rimettersi subito in gioco e di farlo ad ogni costo.
I diecimila metri propongono sempre severe selezioni che spesso riducono il gruppo di testa a poche unità, mettendo a dura prova la tenuta fisica e mentale dei corridori. La gara della Battocletti si sviluppa in modo eccellente sotto il profilo tattico, tant’è che “la trentina volante” è sempre nel novero delle primissime posizioni, tradendo una facilità di corsa davvero incoraggiante; mentre la selezione si fa sempre più marcata, notiamo come anche stavolta un unico puntino bianco, si confonda tra le atlete africane che come sempre dettano l’andatura imponendo il loro strapotere nelle discipline di “fondo”.
Suona la campana dell’ultimo giro e solo sette atlete delle venticinque ai nastri di partenza, si disputeranno la vittoria finale e in mezzo a loro quel puntino bianco si fa sempre più “voluminoso”. Nadia, interprete di una gara maiuscola, si giocherà un posto nel Gotha di questo sport assieme alle tre atlete keniane disposte ad ogni costo a centrare il massimo traguardo ed a farlo tutte e tre “di squadra”.
Stretta dunque nella morsa delle ultime superstiti di una gara avvincente, la Battocletti prende l’iniziativa e con coraggio leonino respinge ogni tentativo di accerchiamento delle rivali: a cento metri dal traguardo con un cambio di passo decisivo, Nadia e la keniota Chebet si staccano definitivamente dal gruppetto dando vita ad un drammatico testa a testa che si risolverà con la zampata vincente dell’atleta centroafricana! Cionondimeno, l’eroica freccia d’argento tricolore entra di diritto nella leggenda di questo sport e lo fa in virtù di una gara condotta con coraggio, stoicismo e personalità all’indomani dello “shock” della finale dei cinquemila e pure in una condizione fisica precaria. Ripensando a quei cento metri finali ed all’adrenalina che ancora trasmettono verso gli sportivi che ripercorrono a memoria ogni singolo centimetro di quel fantastico e rusticano duello, in molti avranno immaginato il “testimone” di un certo Totò che in un ideale passaggio di consegne, termina nella destra di Nadia. Qui sta l’essenza di una pesante eredità: quella di coloro che con la casacca “only the braves” varcano per sempre la soglia dell’olimpo accomodandosi accanto a leggende quali Fidippide e pochi altri.
Luca Uccio