Il disegno di legge è composto di 34 articoli. Il provvedimento è complesso e comprende disposizioni diverse in materia di salute e sicurezza sul lavoro, di contratti a tempo determinato e di somministrazione, di rapporto di lavoro, di ammortizzatori sociali e di politiche formative, nonché disposizioni in materia previdenziale e contributiva. A queste misure si aggiunge, inoltre, l’estensione del c.d. legittimo impedimento per i liberi professionisti iscritti agli albi professionali, anche ai casi di parto della libera professionista e ai casi di ricovero ospedaliero del figlio minorenne che necessita di assistenza da parte del genitore libero professionista.
La parte più dibattuta del DDL lavoro in scrutinio (Legge 13 dicembre 2024, n. 203 in Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 303 del 28 dicembre 2024 è l’articolo 19 a mente del quale in caso di assenza ingiustificata del lavoratore protratta oltre il termine previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) applicato al rapporto di lavoro o, in mancanza di previsione contrattuale, superiore a quindici giorni, il datore di lavoro ne dà comunicazione alla sede territoriale dell’Ispettorato Nazionale
del Lavoro (INL), che può (ma non deve) verificare la veridicità della comunicazione medesima. Il rapporto di lavoro si intende risolto per volontà del lavoratore (quindi per dimissioni volontarie del lavoratore e non per licenziamento), e non si applica la disciplina prevista dal presente articolo in materia di
dimissioni telematiche, con conseguente perdita del diritto all’indennità di disoccupazione (NASPI) e alle altre tutele previste dalla legge in caso di licenziamento. Il rapporto di lavoro non si intende risolto, invece, se il lavoratore dimostra l’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto
imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza.
Da una prima sommaria lettura emerge che l’art. 19 del DDL lavoro non prevede formalmente l’introduzione delle “dimissioni in bianco”, ma interviene sulla normativa in materia di dimissioni
volontarie e risoluzione consensuale del contratto di lavoro, introducendo, sull’esempio francese, una presunzione legale di dimissione volontaria del lavoratore per assenza ingiustificata dal lavoro oltre il termine stabilito dal CCNL applicabile o, in mancanza di previsione contrattuale, superiore a quindici giorni.
Altra evidenza riguarda la mera facoltà dell’INL di effettuare il controllo di veridicità della comunicazione del datore di lavoro, non prevedendo la norma alcun obbligo a carico dello stesso Ispettorato e alcun termine entro il quale il controllo deve essere eventualmente eseguito, con la conseguenza che alcuna garanzia e effettività di controllo dell’INL è prevista a tutela del lavoratore.
L’art. 19 del DDL lavoro, inoltre, si limita a prevedere che il rapporto di lavoro non si intende risolto se il lavoratore dimostra l’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare (a chi?) i motivi che hanno giustificato la sua assenza. Da tali evidenze, discendono alcuni interrogativi. La norma non dice “a chi” il lavoratore deve rivolgersi e entro quali termini: al datore di lavoro, alla sede territoriale dell’Ispettorato dove il datore di lavoro ha inviato la comunicazione, o direttamente al giudice del lavoro?
La norma, inoltre, non dice se l’eventuale attività di controllo di veridicità espletata dall’INL del documento inviato dal datore di lavoro debba essere eseguita in contraddittorio del lavoratore
e se al medesimo sia riconosciuto il diritto di essere personalmente sentito.
È certo, invece, che in caso di mancato controllo da parte dell’INL, le dimissioni volontarie si intendono comunque ex lege perfezionate e produttive di ogni effetto giuridico. Qui risiede, a mio avviso, il punto più critico della norma in scrutinio e il sospetto, più che fondato, denunciato con forza dalle forze politiche dell’opposizione, che la norma “riproponga” di fatto lo spettro delle dimissioni in bianco. Tale convincimento è determinato dal fatto che le presunte dimissioni volontarie che discendono dall’assenza (ingiustificata) del lavoratore protratta oltre i termini previsti dalla norma prescindono da un effettivo
controllo di veridicità del documento inviato dal datore di lavoro all’INL, da un effettivo accertamento della volontà di dimettersi del lavoratore e da un effettivo controllo delle cause che hanno
indotto il lavoratore ad assentarsi oltre i termini di legge.
Tanto più che la norma non prevede, in caso di mancato controllo d’ufficio dell’INL, che il lavoratore possa dare impulso all’attività di controllo mediante espressa richiesta formulata all’INL competente per territorio. All’indomani del varo del nuovo DDL lavoro non sono mancate legittime contestazioni.
L’art. 19 non tutelerebbe la posizione debole del lavoratore. Per il PD, la norma reintroduce di fatto le così dette “dimissioni in bianco”, vietate dalla riforma Fornero nel 2012 e successivamente dalla riforma Renzi nel 2015, tramite l’obbligo di presentazione delle dimissioni telematiche mediante patronato con
l’obiettivo di accertare la volontà effettiva del dipendente di dimettersi.
Con il DDL lavoro, appena licenziato dal governo, si assiste, per il M5S a “un ulteriore attacco ai diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, esponendoli a licenziamenti senza giusta causa”. Il collegato lavoro “è una sommatoria di norme pericolose”, le fa eco la senatrice del PD, ex segretaria generale della CISL, Annamaria Furlan. Per la ministra del lavoro e delle politiche sociali, Marina Elvira Calderone, in conferenza stampa al Senato, dopo il via libera definitivo al DDL lavoro, insieme al sottosegretario Claudio Durigon, i presidenti della commissione Lavoro del Senato Francesco Zaffini (FdI) e della Camera Walter Rizzetto (FdI), e le relatrici del provvedimento, Paola Mancini (FdI) e Tiziana Nisini (Lega) “si tratta di un intervento necessario per chiarire la questione su quelle che tecnicamente si chiamano dimissioni per
fatti concludenti del lavoratore”. L’art. 26 del d.lgs. n. 151 del 2015 (Jobs Act), prosegue la ministra bonorvese, non contemplava quei casi in cui il lavoratore abbandonava il posto di lavoro o
comunicava solo verbalmente al datore di lavoro le proprie dimissioni. In tali ipotesi, il lavoratore risultava formalmente alle dipendenze del datore di lavoro al quale non rimaneva altro che attivare il licenziamento disciplinare, consentendo al lavoratore di accedere alla Naspi, beneficio che non avrebbe
ottenuto qualora si fosse dimesso.
Per porre fine a tale abuso, l’art. 19 del DDL lavoro, dopo il comma 7 dell’articolo 26 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 151 (Jobs Act), ha introdotto il comma 7-bis che disciplina appunto la fattispecie delle dimissioni volontarie per assenza ingiustificata del lavoratore dal posto di lavoro
protratta oltre il termine previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) o, in mancanza di previsione contrattuale, superiore a quindici giorni. Non si è trattato quindi per la ministra di “reintrodurre” la pratica delle dimissioni in bianco ma di un intervento necessario per chiarire
la questione su quelle che tecnicamente si chiamano dimissioni per
fatti concludenti del lavoratore.
Con riferimento, invece, al DDL lavoro nel suo complesso, la ministra ha dichiarato: ”È il completamento di un anno di lavoro, che si accompagna ad una serie di interventi fatti all’insegna della semplificazione e della stabilità del lavoro, e non dell’aumento del precariato”, e conclude: “sosteniamo il lavoro
sicuro e di qualità. Il nostro impegno è costante”. Nel mentre, nella vicina Spagna succede che il governo socialista di Pedro Sanchez con la ministra Yolanda Diaz ha dato il via libera, a parità di salario, alla riduzione dell’orario di lavoro settimanale da 40 a 37,5 ore.
Il governo spagnolo, in accordo con i principali sindacati ma non con gli industriali, ha dato il via libera a un nuovo aumento del salario minimo previsto per legge.
Per l’anno in corso la paga base sarà pari a 1.184 euro mensili. In Italia, sulla stessa linea d’onda, il PD, il M5S e Alleanza Verdi e Sinistra (AVS) di Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni, nota anche come Alleanza Rosso-Verde, hanno depositato una proposta di legge per incentivare la sperimentazione della riduzione
dell’orario di lavoro a parità di salario. Sul salario minimo, invece, sempre in Italia, nonostante sia
scaduto il 15 novembre 2024 il termine per il recepimento della direttiva europea sui salari minimi adeguati (direttiva (UE) 2022/2041 del 19 ottobre 2022), è stato dichiarato inammissibile dalla maggioranza di governo l’emendamento alla manovra 2025 presentato da Conte, da Schlein, dai rosso-verdi di Fratoianni e Bonelli e da Richetti per Azione, che prevedeva l’introduzione di
un salario minimo per legge a 9 euro lordi all’ora.
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2025-02-18