In attesa del deposito della sentenza, l’Ufficio comunicazione e stampa della Corte ha fatto sapere che “l’oggetto e la finalità del quesito non risultano chiari” e “ciò pregiudica la possibilità di una scelta consapevole da parte dell’elettore. Il referendum – fa sapere ancora l’Ufficio – “verrebbe ad avere una portata che ne altera la funzione, risolvendosi in una scelta sull’autonomia differenziata, come tale e in definitiva, un giudizio sull’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, che non può essere oggetto di referendum abrogativo, ma solo, eventualmente, di revisione costituzionale”.
Queste in estrema sintesi le motivazioni della Corte. Detto in altri termini, i giudici costituzionali hanno stabilito l’illegittimità del quesito referendario in quanto avrebbe costretto gli elettori a esprimersi con un solo voto, un sì o un no, su più questioni eterogenee e portanti della legge che col referendum si intendeva abrogare. Tra le questioni più significative contenute nella legge, ricordiamo per esempio: le condizioni in base alle quali le Regioni possono chiedere maggiore autonomia allo Stato nel rispetto dell’articolo 116 della Costituzione; la determinazione dei cosiddetti “livelli essenziali delle prestazioni” (LEP), che rappresentano i servizi che lo Stato deve garantire a tutti i cittadini in quanto essenziali, indispensabili e non negoziabili; il percorso istituzionale che una Regione a statuto ordinario deve seguire per ottenere più autonomia, nonché la durata degli accordi tra lo Stato e le Regioni stesse.
Per tali motivi, i giudici costituzionali hanno ritenuto che il referendum avrebbe rischiato di trasformarsi «in una scelta sull’autonomia differenziata, come tale, un giudizio sull’articolo 116, terzo comma, della Costituzione». In altre parole, secondo la Corte, i cittadini avrebbero finito per esprimere un giudizio sullo stesso principio di autonomia differenziata riconosciuto dal già citato articolo 116 della Costituzione, che, come tale, <<non può essere oggetto di referendum abrogativo, ma solo, eventualmente, di revisione costituzionale>>.
La consultazione referendaria, pertanto, non ci sarà, con buona pace dei promotori che provano a smarcarsi attribuendo la responsabilità alla CGIL affermando: “È stata la Cgil a formulare il quesito referendario bocciato dalla Corte”.
“Volevano approfittare del tema dell’autonomia per fare da traino anche agli altri referendum ma sono caduti in questo errore”, gli fa eco il presidente del Veneto, Luca Zaia, della Lega, che prosegue: “Questa sentenza ci consente di lavorare con maggiore serenità. Auspico che diventi un’occasione per avviare un dialogo costruttivo e porre fine agli scontri”. “La sentenza chiarisce ogni dubbio”. “Per la seconda volta, la Corte costituzionale conferma tutta la propria autorevolezza sulla questione dell’autonomia. La prima volta con la sentenza relativa al ricorso contro la legge Calderoli, in cui la Consulta ha analizzato il merito della legge, fornendo alcune indicazioni per apportare correttivi, pur confermandone la piena legittimità. Oggi, con questa nuova sentenza, la Corte mette fine alla vicenda referendaria con l’assoluta imparzialità che deve esserle propria. Questo pronunciamento contribuisce a chiarire ogni dubbio sul percorso dell’autonomia, che continuerà a svilupparsi nel pieno rispetto della Costituzione, delle indicazioni della Consulta e del principio di unità nazionale, mantenendo al centro i valori di sussidiarietà e solidarietà”, e conclude: “Capitolo chiuso sulle dispute referendarie”. “Per quanto ci riguarda il lavoro non si è mai fermato, nella certezza che le nostre aspirazioni erano in piena aderenza con la Carta fondamentale della Repubblica”. Per il costituzionalista Stefano Cercanti, ordinario di Diritto pubblico comparato Roma La Sapienza, del PD: “La mancanza di chiarezza del quesito avrebbe portato a un anomalo plebiscito su un articolo della Costituzione”.
Per Alessandro Alfieri, senatore, responsabile per le riforme del Partito Democratico: “La decisione della Consulta sulla non ammissibilità del referendum per l’abrogazione della legge Calderoli è la naturale conseguenza della sentenza della stessa Corte che a dicembre 2024 ha di fatto demolito la legge sull’autonomia differenziata voluta dal centrodestra. I giudici della Corte in quella occasione hanno accolto parzialmente i ricorsi presentati da quattro regioni guidate dal centrosinistra (Puglia, Toscana, Sardegna e Campania), dichiarando illegittimi sette punti chiave del provvedimento promosso dal ministro per gli Affari regionali e le autonomie. Una legge pessima per il nostro Paese, che aumenterà ancora di più le disuguaglianze territoriali e sociali. In Parlamento continueremo a dare battaglia per evitare le forzature della destra e bloccare le intese avviate con le Regioni del Nord“.
Per Ivo Rossi, uno dei maggiori esperti di autonomia del Pd, “la legge Calderoli è stata svuotata da quella sentenza al punto che rimane solo la previsione di autonomia contenuta nell’articolo 116, terzo comma, della costituzione”.