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“Il cacciatore di nazisti”: Remo Girone è Wiesenthal, tra dolore e resistenza

“Il cacciatore di nazisti”: Remo Girone è Wiesenthal, tra dolore e resistenza

In continuità con la Giornata della Memoria, il Teatro Massimo si fa portavoce di un messaggio importante: ricordare. Non solo il 27 gennaio. Sempre. Per «non dimenticare i nostri assassini», come da desiderio delle vittime dell’Olocausto.                                                                               

Dal 1 al 5 febbraio Remo Girone veste i panni del celebre cacciatore di nazisti Simon Wiesenthal, attraverso i suoi scritti e le sue memorie, in una drammatica e coinvolgente scenografia, curata nei minimi particolari. Il palco è cupo per tutta la durata dello spettacolo, illuminato solo da una lampada e da piccole luci che incorniciano gli sguardi di bambini, adulti e anziani.

Il testo e la regia sono curati da Giorgio Gallione a cui Girone dedica parole di stima e gratitudine per «avergli cucito addosso lo spettacolo come un abito perfetto».

Lo spettacolo si apre nel 1937, dove un giovanissimo Friedrich Niemand assiste all’uccisione dei suoi genitori, per poi essere picchiato e torturato. I nazisti lo internano in una clinica per malati mentali e lo sfruttano come cavia a vantaggio dello sviluppo scientifico del III Reich. Non vede e non parla a causa degli esperimenti con sostanze chimiche a cui viene sottoposto, ma sente «ogni sillaba, ogni parola dei suoi torturatori» e questo gli basta per non perdere la speranza.

In mezzo a questo orrore trova qualcuno che lo ama davvero: un’infermiera statunitense che, con la sua determinazione e ottimismo, lo aiuta a riacquistare la parola. 1967 è una data importante: riesce a identificare la voce di uno dei medici di Birkenau che lo aveva castrato e lo costringe a parlare. Dopo ben ventidue anni è finalmente riuscito a riscattarsi. Wiesenthal, sopravvissuto a quattro anni di guerra, dodici campi di sterminio, due tentativi di suicidio e due fucilazioni «solo grazie a una successione di miracoli», ha conosciuto Niemand nel 1986. A quel punto capisce che non è l’unico a volere giustizia per le vittime dell’Olocausto, vive per questo e diventa a tutti gli effetti il suo lavoro. Comincia a raccogliere nomi, dati e testimonianze per evitare che tutto questo possa ripetersi in futuro. 11 milioni. È il totale delle vittime, di cui fanno parte anche tutti i suoi parenti, uccisi «per il solo crimine di essere nati ebrei».



Non è la prima volta che Girone ripercorre i drammi dell’Olocausto: insieme alla moglie, l’attrice Victoria Zinny, al Festival di Spoleto del 1978 aveva recitato L’Accademia Ackermann di Giancarlo Sepe. Solo qualche anno fa, al Quirinale, in veste di lettore delle memorie dei deportati italiani, ha avuto modo di conoscere un sopravvissuto ai campi di sterminio.

Girone è da sempre in contatto con persone ebree, sia nel lavoro che nella vita privata; di Wiesenthal in particolare ha letto molti libri, visto documentari, film e serie tv che lo riguardano.

Nello spettacolo non dimentica Masha Rolnikaite e Anna Frank, due ragazzine diventate simbolo dell’orrore dell’Olocausto, deportate ad un anno di distanza: la prima nel 1943 sopravvissuta nel campo di concentramento di Riga-Kaiserwald, la seconda nel 1944 deceduta tragicamente nel campo di concentramento di Bergen-Belsen.

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Ilaria Corona

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