Ritrovarsi 56 Anni Dopo – La Storia di un Salvatore e la “Grotta di Giacinto”

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Quest’anno Salvatore Scano e Giacinto Massa si sono finalmente ritrovati, 56 anni dopo che il destino li aveva fatti incontrare in circostanze estremamente drammatiche. Nel 1968, Giacinto, che allora aveva 22 anni, precipitò in una grotta mineraria a Santadi; a salvarlo fu proprio Salvatore, vigile del fuoco, che rischiò la vita per raggiungerlo e riportarlo in superficie, dopo una caduta di 80 metri che sembrava non lasciare più alcuna speranza.

Era il 1968 quando Giacinto in qualità di speleologo dilettante, verso le 7:00 si trovava insieme ad alcuni amici sul monte Meana nei pressi di Santadi. Un momento di disattenzione gli costò molto caro: scivolò in una grotta nascosta per 80 metri, superando una voragine e arrestandosi miracolosamente su una sporgenza, per poi perdere conoscenza; la caduta fu attutita solo grazie a uno spesso strato di guano di pipistrello. I suoi amici, non riuscendo a comunicare con lui, non erano in grado di stabilire le sue condizioni e così, terrorizzati, corsero a cercare aiuto, prendendo in prestito il motorino di un pastore che faceva pascolare le greggi lì vicino.

Le ore passarono, le voci dell’accaduto si sparsero rapidamente tra i paesani, arrivando presto anche alla madre di Giacinto. Le dissero che il figlio era morto: nessuno pensava che sarebbe potuto sopravvivere a una simile caduta. Lei ne fu distrutta naturalmente, specie considerando la perdita dell’altro suo figlio, di soli 16 anni, che aveva subito di recente.

Solo verso le 13:00 la chiamata di soccorso arrivò al distaccamento del VVF di Iglesias, dove l’allora trentacinquenne Salvatore Scano era in servizio come autista. Arrivò insieme alla sua squadra sul posto, dove erano già presenti i carabinieri e altre forze dell’ordine. Lo scenario che gli si presentò di fronte era tanto impressionante che alcuni dei suoi colleghi tentarono la discesa solo per pochi metri, prima di risalire subito, giudicando l’impresa impossibile. Allora Scano, che si rifiutò di lasciare lì quel ragazzo senza nemmeno tentare, con grande coraggio si offrì volontario per la missione e, equipaggiato di corda e imbracatura, iniziò a calarsi. Giunto a 80 m si ritrovò davanti una voragine talmente profonda che lasciando cadere un sasso, non riuscì nemmeno a sentirne il tonfo. Dal lato opposto vide Giacinto, ferito, ma incredibilmente ancora vivo. Per poterlo raggiungere risalì e chiese a un collega di scendere con lui per farsi aiutare a posizionare una scala come un ponte sulla voragine, in modo da riuscire a superarla trasportando anche il ferito. Ridiscesero quindi insieme e, mentre una quindicina di persone tenevano dall’alto la sua corda, si lasciò oscillare nel vuoto come un trapezista, e raggiunse il lato opposto.

Giacinto nel frattempo aveva ripreso conoscenza. Realizzando l’accaduto, chiese al suo soccorritore di salutare per lui la madre, pensando che non l’avrebbe mai più rivista. Scano lo rassicurò e gli promise che lo avrebbe salvato, e così fece. Non conoscendo con esattezza la gravità delle sue ferite, risalì e portò giù con sé un assistente del medico per praticargli una puntura antidolorifica e farsi aiutare a caricarlo in spalla, imbracandolo in una posizione corretta.

Stava per riniziare ancora una volta la risalita, quando il suo collega, che avrebbe dovuto attendere insieme al delegato del medico di venire recuperato in un secondo momento, preso dal panico si aggrappò alla cintura per risalire insieme a loro; il vigile fu quindi costretto a portare il peso di ben due uomini, mentre i colleghi recuperavano la corda a strattoni dalla superficie.

Verso le 16:00, dopo ben 9 ore dal momento della caduta, Giacinto venne finalmente liberato dalla grotta. Tutti applaudirono, ma a causa dello sforzo che aveva fatto per il peso eccessivo, Scano dovette stendersi e riposare per venti minuti almeno, prima di essere in grado di scendere nuovamente a recuperare l’assistente. L’impresa gli causò gravi danni alla schiena, dei quali risentì molto negli anni seguenti, tanto da trascorrere mesi a letto e doversi sottoporre a forti punture. Fu in grado di riprendersi e rimettersi in servizio nel VVF solo grazie alle competizioni ciclistiche a cui si dedicò dal 75’ in poi, da cui trasse molto giovamento. Anche Giacinto, sebbene incredibilmente sopravvissuto, riportò costole rotte e lesioni a un’apofisi trasversale della spina dorsale, un problema che ancora oggi gli provoca non pochi fastidi.

Anni dopo, Salvatore raccontò questa storia di eroismo ai suoi figli e nipoti, esprimendo più volte il proprio desiderio di rincontrare, un giorno, il ragazzo che aveva salvato, ragazzo di cui, tuttavia, non conosceva nemmeno il nome. Fu solamente il destino a volere che sua figlia Alessia, il 1° maggio 2024 andasse per caso a visitare le Grotte Is Zuddas, proprio a Santadi. Durante il tour, si ricordò vagamente il racconto del padre e chiese alla guida se sapesse qualcosa di un salvataggio avvenuto da quelle parti negli anni 70’. Con sua grande sorpresa, questa le rispose che quella storia era ben nota in paese, e che avvenne nella grotta del monte Meana, ora ribattezzata per questo motivo “Grotta di Giacinto”, in onore del ragazzo che lì era stato salvato, Giacinto Massa appunto. Una volta venuta a conoscenza del nome completo, Alessia riuscì facilmente a contattarlo sui social: l’uomo ne fu talmente entusiasta che già il giorno seguente, il 2 maggio 2024, si presentò a Selargius a casa di Salvatore, per l’atteso incontro.

L’abbraccio fra loro è stato lungo e silenzioso, carico di lacrime di gioia. Dopo più di mezzo secolo, hanno finalmente avuto l’opportunità di scambiarsi i ricordi di quel giorno lontano che segnò per sempre le loro vite.

Salvatore, che il 10 novembre festeggerà il suo novantunesimo compleanno, gli ha raccontato la sua vita da instancabile lavoratore. Ha iniziato a soli 7 anni nell’orto di famiglia, è diventato apprendista calzolaio a 10, e a 15 è stato assunto come falegname. A 20 anni è entrato nel corpo dei vigili del fuoco come ausiliario, poi discontinuo, fino a diventare effettivo dopo aver completato un corso alle Capannelle, a Roma.

Giacinto lo ha ascoltato affascinato e ha deciso di invitarlo a Santadi per conoscere la sua famiglia. Insieme hanno poi scelto di ritornare ai piedi del monte Meana, dove si erano incontrati per la prima volta in quel giorno qualunque del 1968, quasi come a esorcizzare l’accaduto e a salutare la morte come una vecchia amica.

Oggi, con gli anni e le cicatrici che quell’incidente ha lasciato su di loro, guardano alla vita con gratitudine. La “Grotta di Giacinto” resterà per sempre la testimonianza di un legame che il tempo non ha mai spezzato e non spezzerà mai.

Salvatore racconta

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2024-10-30
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