E’ giusto far studiare la storia della Sardegna nelle scuole sarde? Un sondaggio che porta più domande che risposte.

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Qualche giorno fa su un noto quotidiano sardo, un interessante sondaggio domandava ai lettori se fosse giusto o meno introdurre l’obbligo dell’insegnamento della storia sarda nelle scuole dell’Isola.

Preso atto che ogni fattore, dall’istruzione alla promozione turistica, dalla tutela delle opere d’arte alla valorizzazione del patrimonio (inteso come insieme di testimonianze non solo materiali) ha portato la popolazione sarda a una pressoché nulla conoscenza del proprio passato e di ciò che questo passato ha prodotto e lasciato sul territorio, viene da domandarsi se un simile provvedimento abbia validità se non supportato da un coeso cambio di rotta.

Ad oggi questa enorme mole di sapere sul passato della Sardegna sembra essere un “tesoro per pochi”, quei coraggiosi che hanno voglia e tempo per informarsi su qualcosa che ai più non interessa. Sappiamo a malapena che nella nostra isola ci sono i nuraghi, abbiamo il mito di Eleonora d’Arborea (ma chi sia poi, nessuno lo sa!) e poi si passa direttamente a Gigi Riva. Non male.

Come dunque possiamo pensare che, da solo, l’insegnamento della storia sarda possa cambiare le cose? E se anche potesse, in quanto tempo? Mentre fra i banchi si studierà, le nostre chiese romaniche (abbandonate o usate come magazzini) cadranno a pezzi per via dell’incuria, le nostre tradizioni verranno dimenticate o peggio trasformate in feste commerciali e quello che le nuove generazioni avranno finalmente appreso sarà ormai scomparso, troppo danneggiato o nelle mani di qualche ricco privato.

Sono un catastrofista? Può darsi.
Ma anziché proporre l’insegnamento della storia della Sardegna, perché non proporre l’insegnamento dell’amore per la Sardegna?

Altrove, in Paesi che non tolgono la storia dell’arte dai loro programmi scolastici e dove la “lingua natia” non è sinonimo di ignoranza e arretratezza, i giovani vengono istruiti a difendere le loro memorie vivendole, studiandole, lavorando attivamente (e guadagnando) attraverso esse. Altrove lo studio della storia locale va di pari passo con il restauro dei monumenti che ne sono testimonianza; il senso di rispetto verso gli stessi è assoluto e questi divengono produttivi centri di cultura, di sapere e turistici. Sovente capita che fianco a fianco si possano vedere le opere d’arte di artisti quotati e di artisti locali sconosciuti, in mostre temporanee finanziate e ospitate da istituzioni e enti anche prestigiosi. Il tutto affiancato da una promozione soverchiante d’ogni singolo sasso, albero o libro che racconti, anche alla lontana, dell’amore per il proprio passato.

E’ una questione di predisposizione d’animo, non solo di studio. E’ una questione di vita, non d’istruzione, ma più largamente sociale e politica.
La speranza è dunque che il quesito porti non ad un “si” o ad un “no”, ma ad una presa di coscienza totale che un passato lo abbiamo e che quel passato è la miglior benzina per un futuro migliore.

Relativamente al nostro campo, speriamo che s’abbia parità di istruzione su nuragici e romani, fra feudalesimo e giudicati, fra macchiaioli e scuola sarda del 900. Senza giudizi di merito, quelli lasciamo sia ciascuno a darli: ogni luogo ha la sua storia e le sue testimonianze e tutte sono importanti alla stessa maniera se rapportate al luogo che le ha prodotte.

Dicono che la speranza sia l’ultima a morire, per cui…

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2016-05-07

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