Pinuccio Sciola è morto, all’età di 74 anni. Una carriera costellata di successi la sua, una carriera che ha visto lui e le sue opere girare il mondo, senza tuttavia mai separarsi totalmente (quasi avesse una sorta di cordone ombelicale), dalla sua amata Sardegna e dal suo paese: San Sperate.
Su di lui, come artista e come persona, si è scritto tanto: per questo la presente rubrica non si arroga il privilegio di stendere una relazione critica sul Maestro, su quanto di “nuovo” ha portato alla storia della scultura, alla musica o alla storia dell’arte; ne intende cercare di parlarne umanamente, dato che tanti, avendolo conosciuto (e bene), possono certamente essere più competenti in questo.
Ritengo però sia nostro dovere, se non altro per rendergli un doveroso omaggio, parlare di lui al fine di rendere la sua scomparsa l’occasione per discutere d’arte.
Pinuccio era famoso per le sue note pietre sonore e per le “note” (scusate il gioco di parole) che questi strani strumenti erano in grado di produrre. Faceva cantare la roccia, materiale muto per eccellenza. E fa un po’ strano, ora che è venuto a mancare, riflettere sullo stridente contrasto che intercorre tra il silenzio che accompagna questa dipartita e la sua vita melodicamente colma.
Fa strano, specie perché non si tratta del silenzio rispettoso di chi lo ha ammirato o più semplicemente amato; no, si tratta di un silenzio strano, un silenzio che viene da quell’Italia della cultura che, forse, avrebbe dovuto dedicare ad un artista come lui ben più di qualche servizio in tv e una manciata di articoli.
E’ un silenzio che rimbomba sordo ancora maggiormente se a fargli da contraltare sono le parole del Presidente Mattarella, talmente assorto nel contemplare le statue di Mitoraj che nel suo discorso sullo stato di “rilancio” culturale del Paese, s’è scordato che quel Paese aveva appena perso una delle persone che proprio nella cultura s’adoperava da tempo.
Al di là del proprio gusto personale è innegabile il peso che Sciola ha avuto per la Sardegna e per l’Italia. Quindi fermiamoci a pensare perché il nostro Paese, terra di arte e cultura per eccellenza, si ostina ancora una volta a voler guardare oltre il confine per cercare modelli a cui rivolgersi. E perché si persegue ad ogni costo con l’intento innaturale di creare una sorta di storia dell’arte di serie A e una di serie B, quasi che ci fossero capolavori che meritano d’essere salvati e altri che “chissenefrega”.
Il tutto tralasciando coloro che per invidia o vecchie ruggini hanno perfino detto di peggio. Comprendiamo che a molti Sciola poteva sembrare una grande quercia arrogante che impediva ai piccoli alberi di ricevere sole: questo tuttavia non è sufficiente per offenderne la memoria, come ci è capitato di leggere e vedere da qualche parte.
Riposa in pace Pinuccio, ignora questa ignoranza. Le tue pietre ti sopravvivono e questo, al di là di facili entusiasmi ed eccessivi dissapori, è quello che conta. L’arte è immortale e tu, che piaccia o meno, un po’ d’arte a questo mondo l’hai lasciata.
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