
El “Pibe de oro”, il piede dorato, campione del mondo nel 1986, il numero 10, il più grande insieme a Pelé, aveva anche origini italiane. Uomo dei Sud (America e Italia). Dalla parte degli umili. Vita costellata di episodi sopra le righe e di eccessi.
La notizia mi ha colpito profondamente. Ho pianto. Non so perché. Non sono un suo particolare tifoso o delle squadre nelle quali ha militato. Però riconosco che è stato il migliore giocatore della storia del calcio insieme a Pelé. I tifosi guardavano gli infiniti palleggi a bordo campo. Micidiale nelle punizioni di sinistro, nei dribbling, con una visione di gioco incredibile. Segnava e faceva segnare i compagni di squadra, capace di portare a spasso tre o quattro difensori avversari. Diego Armando Maradona aveva origini italiane del Sud. Ai Sud era molto legato. Non solo a Napoli dove ha vinto due campionati e una Coppa UEFA. Ma alla sua Argentina (con la quale vinse la Coppa del Mondo nell’86 in Messico) e ai Sud del mondo che fosse Cuba o il Sud America. Il caso ha voluto che sia morto lo stesso giorno del suo amico Fidel Castro, morto il 25 novembre del 2016. Politicamente populista con un occhio alla parte più povera del pianeta. Appoggiò Menem (destra argentina) e i líder Maduro e Chavez (venezuelani), rivoluzionari, come lui nel calcio, che aveva tatuato Che Guevara nel braccio. Antimperialista americano, segnò con la mano un gol all’Inghilterra, “colpevole” di aver vinto la guerra delle isole Falkland (Malvinas, per gli argentini). Incontrò l’altro argentino più famoso al mondo, papa Francesco e si adoperò in opere a favore dei poveri.
L’ho visto una volta al Sant’Elia, contro il Cagliari, dalla Curva Nord. Bella partita, quasi equilibrata. Poi un guizzo. In area Maradona non perdona. Rete. Ho visto i tifosi del Cagliari applaudire. Troppo forte. Incontenibile. Di un livello superiore rispetto a tutti i suoi contemporanei.
Quando andò via da Napoli fu Maradona a indicare il suo sostituto: Gianfranco Zola, altro grande numero 10, il fantasista sardo confessò di aver imparato molto da lui. Ogni volta che Diego Armando rientrava nel capoluogo campano, era una festa. Pronta la proposta del sindaco Luigi De Magistris di intitolargli lo stadio San Paolo di Napoli.
Ma questa voglia di fare enorme non la si è vista solo nel calcio. Guadagna tanti soldi. Molti li spende e spande in acquisti inutili, amici, droga, forse presa all’inizio per i dolori alla schiena. Figli, dentro e fuori il matrimonio. Una vita fatta di eccessi, genio e sregolatezza, purtroppo non solo nello sport. Resterà nella Storia del Calcio, per sempre.