Nel primo pomeriggio del 31 gennaio, si è svolto il webinar “Media e violenza di genere”, organizzato dalla Direzione Generale delle Politiche Sociali della Regione Autonoma della Sardegna e dall’ODG della Sardegna. All’incontro online, hanno partecipato 79 giornalisti rappresentanti degli Ordini dei giornalisti di tutte le regioni italiane. Il primo relatore a intervenire è stato Vincenzo Di Dino, direttore responsabile della nostra testata, il quale ha mostrato dati e percentuali circa il fenomeno del femminicidio. In particolare, ha posto attenzione sul fatto che l’80% degli omicidi riguarda gli uomini, il 20% le donne, e che il delitto d’onore esistesse in Italia fino al 1981, ma non sembra essere ancora scomparso. Nel 2015, 27 vittime donne su 100 avevano più di 65 anni, mentre due anni dopo sono passate a 36/100. E come si giustifica, spesso, l’uccisione di anziane? “Non potevo più vederla soffrire così” – si sente spesso dire in televisione e sui vari canali di comunicazione. Successivamente, il dott. Di Dino haavviato un video con nomi e volti di decine di donne uccise, negli ultimi anni in Italia, dal proprio marito, padre o fidanzato: alcune di loro sono diventate casi di cronaca dall’ampio eco, altre sono finite nel dimenticatoio.
Subito dopo, il giornalista Roberto Greco è intervenuto sul tema delle armi, specificando che anche la penna è un’arma: il giornalista, quando si chiede perché quella donna sia stata uccisa, nella maggior parte dei casi, trova il motivo nel fatto che l’oggetto del reato abbia voluto abbandonare il suo partner, magari per accoppiarsi con un altro uomo. La gelosia è al centro della maggioranza dei femminicidi: è come se le azioni delle donne portano il sesso opposto a ucciderle, secondo la famosa frase “se l’è cercata”, ma è giusto parlare di ciò? “Il lato irrazionale e incontrollabile della violenza maschile viene fuori e la passione gli fa appannare la vista, ma non possiamo considerare amore un sentimento che porta un qualsiasi umano a voler sopprimere l’altro/a. Le parole ‘amore’ e ‘omicida’ non possono stare nello stesso post social o titolo giornalistico” – ha affermato il dott. Greco – “e il femminicidio arriva quasi sempre come punto finale di un percorso fatto di violenze precedenti”. La donna viene privata della sua autonomia e viene vista come un oggetto di cui va deciso il destino, una questione che non si è affrontata in modo abbastanza sistematico e a cui non si è mai data una soluzione universalmente valida. La donna viene ancora vista in una posizione subalterna.
Successivamente, ha preso la parola Francesco Pisano, avvocato del CIPM (Centro Italiano per la Promozione della Mediazione) della Sardegna: dapprima, ha detto che la famiglia, da tempo, ha cessato di essere un valore e un’istituzione a livello giuridico, ma è una tecnica di tutela della persona, il luogo dove ci si sente maggiormente protetti. Lo stato non deve invadere lo spazio familiare, bensì deve rispettarlo e intervenire nel momento in cui diviene un luogo di minaccia. “In Gran Bretagna, è stato sviluppato un sistema valutazione del rischio con lo scopo d’intervenire in tempo, prima: si tratta di uno strumento multiagency di cui fan parte gli operatori del centro trattamentale e del centro di accoglienza donne, la polizia e altri esperti conoscitori di una certa situazione” – ha citato, continuando – “Questa è la situazione a cui l’Italia deve tendere […] Grave è il fatto che molti uomini violenti continuano a restare in coppia con la propria partner nonostante le denunce di quest’ultima.” I centri antri violenza accolgono le vittime, i CIPM (in qualità di associazione per la promozione delle pratiche della Giustizia Riparativa e della gestione pacifica dei conflitti) accolgono i colpevoli, ed entrambi insegnano che punire il male col male non porta alcuna riparazione nella società: un valore riparativo lo può avere, secondo il dott. Pisano, la creazione delle condizioni per cui la vittima può stare bene e per cui l’autore dei reati sessuali possa pentirsi e fare qualcosa per rimediare alle sue azioni. I giornalisti, invece, devono informare e polemizzare sanamente, fare inchieste e intervistare esperti, testimoniando storie di donne vittime di abusi e violenze capaci di attirare l’attenzione dei potenti.
Nell’ultim’ora, ha parlato Elena Mascia, responsabile del CAM (Centro Ascolto Uomini Maltrattanti) della regione Nord Sardegna, la quale ha esposto i risultati di alcune domande di un sondaggio a cui sono stati sottoposti 30 individui nel corso degli incontri sul tema della violenza di genere, e ha spiegato come i giornalisti si debbano rivolgere al centro per parlare con uno o più uomini che ne fan parte. Ovviamente, il professionista della comunicazione non può avere un contatto diretto con chi sta seguendo un percorso di crescita e non può pubblicarne il nome e cognome, sia per motivi di privacy, sia per motivi deontologici, onde evitare una ricaduta o conseguenze negative all’incontro. Importante è specificare che ai Centri Ascolto Uomini Maltrattanti di tutta Italia ci si può rivolgere anche prima di compiere un reato o una violenza.