Deadpool rompe… la quarta parete!

Nelle sale cinematografiche in questi giorni viene proiettato Deadpool 2, uno dei film più eccentrici e anticonvezionali degli ultimi tempi. La particolarità del film è data innanzitutto dall’insolito protagonista, Wade Wilson, che viene sfigurato in seguito a un esperimento andato male. In seguito a questo trauma, Wade acquisirà dei poteri e diventerà l’antieroe per eccellenza, allontanandosi da tutti gli stereotipi che i film M;arvel portano sullo schermo. Ribelle, sociopatico, apatico, violento, irresponsabile, amante della cultura pop e decisamente psicopatico (ma ha anche dei difetti!), così si mostra il protagonista, interpretato da Ryan Raynolds.

Da un punto di vista cinematografico, ciò che è davvero affascinante è il rapporto che Deadpool crea con lo spettatore. Questo, sta comodamente seduto sulla sua poltrona e crede di godersi uno spettacolo come un altro, quando il protagonista, invece, lo guarda dritto negli occhi e gli parla. Questo fenomeno non è nuovo nel mondo del cinema, ma di certo allontana il nostro (anti)eroe e il suo cinecomic dai colleghi della marvel.

Si pensi a un personaggio come Wolverine, a cui sono stati dedicati tre film (X-Men le orgini – Wolverine, Wolverine – L’immortale e Logan – The Wolverine) su sette, della saga degli X-Men. Le caratteristiche di questo personaggio impediscano un rapporto diretto con lo spettatore, il quale spezzerebbe di certo la serietà e la pacatezza di Logan. Invece, il carattere e la psicologia del personaggio di Deadpool permettono di abbattere la quarta parete.

La quarta parete è un muro immaginario, che a teatro si trova tra il palco e il pubblico, il quale osserva ciò che accade senza essere chiamato in causa. Questa idea di alienazione e di isolazione viene formulata per la prima volta da Denis Diderot in De la poésie dramatique, diventando poi uno dei pilastri del realismo teatrale. La presenza di questa parete assicura che lo spettatore non concretizzi le scene che gli si presentano davanti e che quindi riesca ad astenersi dalla possibilità di trovare una spiegazione applicabile alla realtà, rovinando la magia.

Tra i primi a rompere la quarta parete troviamo Bertold Brecht, che usava questa tecnica per portare gli spettatori a un ragionamento critico. Soprattutto nelle opere post-moderne e nel teatro dell’assurdo, che mirano alla decostruzione delle regole imposte dalla tradizione teatrale, viene utilizzato questo espediente.

La rottura riguarda non solo teatro e cinema, ma interessa anche la letteratura e i videogiochi. Questi ultimi sono un caso particolare perché permettono di facilitare la comprensione delle azioni da compiere e permettono al giocatore una più proficua identificazione con i protagonisti.

Le opinioni per quanto riguarda la rottura della quarta parate sono contrastanti. Da una parte c’è chi afferma che questa possa servire per conferire un tono umoristico e gradevole all’opera rendendo così lo spettatore consapevole che ciò attira la sua attenzione sia in realtà fittizio. Dall’altra parte, c’è chi sostiene che questa tecnica non permetta la giusta identificazione con le vicende e che sia poco proficua in alcune situazioni. La rottura deve essere opportunamente collocata nella progressione delle vicende in modo che sia gradevole per il pubblico e che non lo privi di pathos.

Ciò che accade in Deadpool, va oltre il rivolgersi allo spettatore. Il protagonista del film, cita più volte gli sceneggiatori, il regista, la casa di produzione e si riferisce al vero sé, Ryan Raynolds. Chi ha visto il film al cinema (non facciamo spoiler), avrà notato la scena after credits a tal proposito. Questa tecnica permette al film di avere una patina di umorismo che si rivela particolarmente gradevole e che, nonostante la trama sia abbastanza banale e stereotipata, ha qualcosa di speciale.

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2021-09-22

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