Lingue, culture e razze

Parlando di lingue, culture e razze, non può non colpire la grande varietà che caratterizza l’umanità attuale, a più livelli. Da un punto di vista fisico gli esseri umani si differenziano per statura, colore della pelle, forma e colore degli occhi e dei capelli e tratti facciali. A livello linguistico, la varietà si esprime in almeno cinquemila lingue oggi parlate nel mondo e in un numero infinitamente superiore di idiomi locali conosciuti come “dialetti”. Sul piano culturale, infine, esiste una grande varietà di comportamenti e di idee che contraddistingue persino quanti condividono gli stessi modelli culturali. A fronte di questa grande varietà nel genere umano, possiamo constatare però anche elementi di forte unità.

Alla fine del XVIII secolo il naturalista George Leclerc de Buffon fu in grado di stabilire che i gruppi umani fanno tutti parte di una sola specie. E nella seconda metà dell’Ottocento i linguisti giunsero alla conclusione che le lingue parlate dalle diverse popolazioni della terra possiedono, al di là delle enormi differenze che le contraddistinguono, strutture grammaticali paragonabili dal punto di vista della complessità.

Per lungo tempo l’aspetto degli esseri umani ha costituito il principale fattore di riconoscimento della differenza. In effetti l’aspetto fisico è ciò che colpisce più d’ogni altra cosa, assieme ai suoni di una lingua sconosciuta. In varie epoche storiche le differenze fisiche sono state di supporto a ideologie e pratiche di discriminazione. Il colore della pelle ha costituito, e costituisce ancora, un marcatore di diversità da cui vengono fatte talvolta dipendere erroneamente le differenze culturali. Il razzismo, che ruota attorno alla nozione di ‘razza’, nella sua forma classica, ha infatti preteso di stabilire un nesso causale tra aspetto fisico e cultura e di giustificare, sulla base delle differenze somatiche, la dominazione di alcuni gruppi su altri: ad una supposta superiorità sul piano fisico doveva necessariamente seguire una superiorità sul piano culturale. Gli studiosi tuttavia hanno dimostrato che non si può parlare di razze umane come nel caso degli animali, perché non esiste alcun criterio per individuarle che possa ritenersi scientificamente fondato. E in più i criteri utilizzati per la classificazione delle razze, che riguardano prevalentemente l’aspetto fisico e la discendenza, sono estremamente soggettivi. La razza è innanzitutto una ‘costruzione culturale’. Ciò è evidente, per esempio, negli Stati Uniti dove i gruppi razziali sono riconosciuti ufficialmente: bianchi, neri, indiani, ecc. In questo paese un individuo non è classificato’ sulla base del suo aspetto, ma in relazione ai suoi ascendenti. Così, una persona può essere bianca oppure nera a seconda che i suoi ascendenti fossero considerati a loro volta bianchi o neri.

In Brasile vale il contrario: un individuo appartiene a un tipo sulla base del suo aspetto. Se, per esempio, una persona è bianca di aspetto, è bianca indipendentemente dal fatto che i suoi ascendenti fossero neri, bianchi o morenos, cioè bruni di carnagione. Così la stessa persona che negli Stati Uniti è ‘nera’ può essere ‘bianca’ in Brasile o viceversa. Perciò non è possibile tracciare distinzioni nette tra gruppi umani basandosi sulle caratteristiche somatiche degli individui. In realtà, quelle che sembrano essere le differenze più appariscenti tra i diversi soggetti umani sono, paradossalmente, proprio quelle più superficiali. Le ossa di un individuo, come del resto il suo cranio, potranno, ad esempio, rivelare molte caratteristiche: sesso, età, malattie contratte in vita, tipo di nutrizione; ma non potranno mai rivelarci se quello stesso individuo fosse un nero o un bianco o un asiatico, se i capelli fossero biondi e lisci o ricci e neri, ecc.

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2021-09-20

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