La Corte dell’Unione europea boccia la riforma della giustizia polacca

La Corte dell’Unione europea boccia la riforma della giustizia polacca. La riforma della giustizia polacca vìola i valori e i principi dell’Unione europea come lo Stato di diritto, la tutela giurisdizionale effettiva dei diritti e l’indipendenza dei giudici.

Lo Stato di diritto costituisce un valore fondamentale, identitario e costituente dell’Unione Europea, lo sancisce l’articolo 2 del trattato sull’Unione europea, e si concretizza in obblighi giuridicamente vincolanti a cui gli Stati membri non possono sottrarsi. Questo in sostanza il passaggio giuridicamente più significativo e politicamente rilevante della sentenza. Con essa la Corte (ri)afferma ancora una volta il primato del diritto dell’Unione rispetto al diritto interno degli Stati membri, principio affermato per la prima volta in due celebri sentenze riguardanti entrambe cause e soggetti italiani, la sentenza Costa del 1964 e la sentenza Simmenthal del 1978, in cui la Corte di giustizia di allora affermò il principio del “primato del diritto comunitario” (ora dell’Unione), quale principio fondamentale insito nella specifica natura dei trattati europei. L’essenza ultima dello Stato di diritto è una tutela giurisdizionale effettiva, il che presuppone l’autonomia, l’indipendenza e la terzietà dei giudici, nonché la qualità e l’efficienza dei sistemi giudiziari nazionali.

L’attuale riforma della giustizia polacca, invece, sottopone i giudici nazionali al controllo politico del governo, in totale violazione del principio di separazione dei poteri e dello Stato di diritto. È bene premettere che la Commissione europea o un altro Stato membro possono proporre un ricorso per inadempimento contro un altro Stato membro che sia venuto meno ai propri obblighi derivanti dal diritto dell’Unione. Qualora la Corte di giustizia accerti l’inadempimento, lo Stato membro interessato deve conformarsi alla sentenza senza ritardo, pena gravi sanzioni economiche. È quanto accaduto nella causa in rassegna in cui la Corte, con la sentenza odierna, a seguito dell’adozione da parte della Polonia di una legge che ha modificato le norme nazionali relative all’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari, degli organi giurisdizionali amministrativi e della Corte Suprema, ha accolto il ricorso per inadempimento presentato dalla Commissione europea contro la Repubblica di Polonia col quale chiedeva alla Corte di giustizia di accertare e dichiarare che il regime istituito da tale legge violava diverse disposizioni del diritto dell’Unione. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la sentenza del 5 giugno 2023, nella causa C-204/21, aderendo alla tesi prospettata dalla commissione europea, ha così definitivamente bocciato l’ultima riforma della giustizia polacca adottata il 20 dicembre 2019 per violazione del diritto dell’Unione, e più segnatamente, per violazione dello Stato di diritto, violazione giurisdizionale effettiva dei diritti e per la violazione del principio di indipendenza dei giudici. Per il ministro della Giustizia polacco, Zbigniew Ziobro, quello della Corte “è un verdetto corrotto” … “non è stato scritto da giudici ma da politici, pertanto, costituisce una chiara violazione dei trattati europei”.

Soddisfatto, invece, il Commissario europeo alla Giustizia, Dydier Reynders, il quale, sul punto, ha affermato: “Questa legge vìola i principi cardine dell’ordine legale europeo. Ci aspettiamo che la Polonia si adegui integralmente alla sentenza”. La Corte, nel merito, aderendo alla tesi prospettata dalla Commissione ed ai propri precedenti giurisprudenziali, ha affermato nella sentenza che il controllo del rispetto, da parte di uno Stato membro, di valori e principi come lo Stato di diritto, la tutela giurisdizionale effettiva e l’indipendenza della giustizia rientra appieno nella sua competenza. Infatti, prosegue la Corte, nell’esercitare la loro competenza in materia di organizzazione della giustizia, gli Stati membri devono conformarsi agli obblighi derivanti dal diritto dell’Unione. Essi sono, altresì, tenuti a provvedere affinché sia evitata qualsiasi regressione, sotto il profilo del valore dello Stato di diritto, della loro legislazione in materia di organizzazione della giustizia, astenendosi dall’adottare norme che possano pregiudicare l’indipendenza dei giudici. Tale valore fondamentale, conclude la Corte, relativo all’identità stessa dell’Unione, si concretizza in obblighi giuridicamente vincolanti a cui gli Stati membri non possono sottrarsi basandosi su disposizioni o una giurisprudenza interne, anche di rango costituzionale.

Con quest’ultimo inciso la Corte ha inteso riaffermare “il primato del diritto dell’Unione rispetto al diritto interno degli Stati membri”. Per la sua chiarezza espositiva, autosufficienza e forza argomentativa questo passaggio chiave della sentenza non necessita di alcun commento, e sarebbe potuto bastare per definire la causa contro la Repubblica di Polonia, ma la Corte prosegue con altrettanta chiarezza nell’esaminare gli altri motivi del ricorso ribadendo, altresì, che la Sezione disciplinare della Corte suprema non soddisfa il necessario requisito di indipendenza e di imparzialità, in quanto la semplice prospettiva, per i giudici chiamati ad applicare il diritto dell’Unione, di correre il rischio che un siffatto organo possa decidere in merito a questioni relative al loro status e all’esercizio delle loro funzioni, in particolare autorizzando l’avvio di procedimenti penali nei loro confronti o il loro arresto oppure adottando decisioni riguardanti aspetti fondamentali di diritto del lavoro, di previdenza sociale o di pensionamento ad essi applicabili, è idonea a pregiudicare la loro indipendenza. La circostanza, peraltro, che la legge di modifica abbia attribuito a un solo e unico organo nazionale (vale a dire la Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche della Corte suprema) la competenza a verificare il rispetto di requisiti essenziali relativi alla tutela giurisdizionale effettiva vìola il diritto dell’Unione. Per ultimo, dalla legge di riforma della giustizia polacca emergono inoltre altre criticità che incidono direttamente sulla vita privata dei magistrati.

Secondo la Corte, infatti, le norme nazionali che impongono ai giudici di presentare una dichiarazione scritta indicante la loro eventuale appartenenza a un’associazione, a una fondazione senza scopo di lucro o a un partito politico e che prevedono la pubblicazione on-line di tali informazioni, violano i diritti fondamentali di tali giudici alla tutela dei dati personali e al rispetto della vita privata in violazione della disciplina in materia di protezione dei dati di cui al Regolamento 678/2016 UE e del diritto al rispetto della vita privata, tutelato dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dalla CEDU. La pubblicazione on-line di dati relativi a una precedente appartenenza a un partito politico, nel caso di specie, prosegue la Corte, non sarebbe neppure idonea a raggiungere l’obiettivo indicato, diretto a rafforzare l’imparzialità dei giudici.

Per quanto riguarda i dati relativi all’appartenenza dei giudici ad associazioni o fondazioni senza scopo di lucro, essi possono rivelare le convinzioni religiose, politiche o filosofiche dei giudici. La loro pubblicazione on-line potrebbe consentire a persone che, per motivi estranei all’obiettivo di interesse pubblico indicato, cercano di informarsi sulla situazione personale del giudice di cui trattasi, di accedere liberamente a detti dati. In considerazione del particolare contesto delle misure istituite dalla legge di riforma della giustizia polacca, conclude la Corte, una simile pubblicazione on-line sarebbe, per di più, idonea a esporre i giudici a rischi di stigmatizzazione indebita, pregiudicando in modo ingiustificato la percezione degli stessi da parte sia dei singoli, che del pubblico in generale.

Come si può notare quella della Corte è una bocciatura della riforma della giustizia polacca a tutto tondo, con ripercussioni politiche immediate non di poco conto, alla quale sentenza Varsavia dovrà quanto prima adeguarsi se vuole evitare gravi sanzioni economiche e ambire a ricevere i fondi del PNRR la cui erogazione è subordinata al raggiungimento di tutti gli obiettivi prefissati, tra i quali primeggia, giustappunto, la riforma della giustizia, da adottare nel rispetto dei principi inviolabili dell’Unione. Nel mentre, secondo quanto riportato da Mariarita Cupersito su NG Notizie Geopolitiche del 8 giugno 2023 “è stata intanto avviata dalla Commissione europea una nuova procedura di infrazione contro Varsavia in merito alla recente legge che prevede un corpo speciale, esterno al sistema giudiziario, con il compito di provare l’influenza della Russia nella politica interna polacca.

Votata a maggio e firmata la scorsa settimana dal presidente Andrzej Duda, la legge è stata tacciata da Bruxelles di violare la Costituzione polacca e di poter essere utilizzata contro l’opposizione, impedendo in particolare la corsa alle elezioni del prossimo autunno di Donald Tusk, principale oppositore del Pis e firmatario, quando era primo ministro, di un accordo sul gas russo.

In base alla nuova legge, infatti, se un esponente politico è messo sotto accusa per relazioni sospette con la Russia può essere sanzionato con l’esclusione fino a 10 anni dai pubblici uffici. L’opposizione è scesa in piazza a Varsavia nei giorni scorsi con una grande manifestazione al fine di boicottare la nuova legge”.

Autore

  • Giuseppe Speranza

    avvocato civilista dal 2000. Mediatore civile commerciale e iscritto all'Albo Speciale degli Avvocati ammessi al patrocinio dinanzi alla Corte di Cassazione ed alle altre Giurisdizioni Superiori. è stato giudice onorario presso il Tribunale civile di Cagliari Sezione distaccata di Sanluri. Ha collaborato per la Rivista Giuridica Sarda diretta dal Prof. Avv. Angelo Luminoso. Collabora per la rivista La Testata.it dal mese di febbraio 2023 dove è autore della rubrica “Diritto & Società”.

2023-06-14

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